Corriere della Sera, 30 agosto 2019
Le statue di Grimani raccontate da Isabella Rossellini e Jude Law
Isabella Rossellini e Jude Law per ciceroni. Le loro voci, la prima in italiano la seconda in inglese, accompagnano alla scoperta di Palazzo Grimani di Santa Maria Formosa a Venezia, sala dopo sala, opera dopo opera, fino alla meraviglia che esplode nella Tribuna. Lì è stata riallestita la celebre collezione di statuaria antica del patriarca Giovanni Grimani (1501-1593), che dopo quattro secoli torna nella sua sede originaria.
Ci raccontano della collezione – lodata anche da Francesco Sansovino nella sua guida dedicata a Venezia nel 1581 – sia uno schizzo di Federico Zuccari disegnato nel 1582 durante un suo soggiorno veneziano sia, soprattutto, gli inventari dei marmi donati allo Stato veneziano da Giovanni Grimani stesso, compilati nel 1593 dai segretari della Serenissima, Lorenzo Massa e Pietro Pellegrini. Una donazione dalla quale ebbe origine il pubblico Statuario, divenuto poi Museo Archeologico Nazionale e inizialmente collocato nel Vestibolo della Libreria di San Marco. Questo percorso museale rende l’idea non solo del valore in sé della collezione ma di quello compreso nel gesto di Grimani. Una visione illuminata la sua, in cui la bellezza, l’arte, l’antichità non erano relegate unicamente alla loro condizione materiale di preziosità ed estetica, oggetti di un collezionismo e di un possesso privato, ma incarnavano un significato culturale ed educativo superiore, da restituire alla collettività.
Giovanni Grimani ereditò una collezione di famiglia già ricca, che trasformò in qualcosa di eccezionale, una meta imperdibile per chi si recasse a Venezia, un mito di cui si parlava nel resto d’Italia e d’Europa. Il nucleo originale si era formato grazie ai ritrovamenti effettuati durante la costruzione di una villa di famiglia sulle rovine di antiche terme al colle Quirinale di Roma, dimora che simboleggiava il potere dei Grimani nelle relazioni politiche tra il papato e Venezia. La sala della Tribuna era l’ambiente più particolare e sorprendente di una dimora che di per sé già costituiva un’anomalia nell’architettura veneziana. Non a caso il palazzo si chiamava Domus Grimani, perché costruito secondo un progetto che innestava sulla tipica domus dell’antica Roma modelli rinascimentali e decorazioni di impronta manierista tosco-romana.
Nella Domus, oltre alla Tribuna, al cortile con i suoi loggiati e alla sala dedicata al doge Antonio Grimani, che gli inventari descrivono letteralmente stipati di antichità, regnava un equilibrio perfetto tra antico e moderno, tra arte e vita quotidiana. Tutta la casa era una sorta di museo, ma solo la Tribuna era destinata unicamente all’esposizione delle sculture greche e romane. Nella mostra “Domus Grimani. 1594-2019”, curata da Daniela Ferrara, direttrice del Polo Museale del Veneto, e Toto Bergamo Rossi, direttore di Venetian Heritage, si procede attraverso le sale della nuova ala costruita da Giovanni Grimani nella sua ristrutturazione cinquecentesca. Sempre seguendo le descrizioni minuziose di Massa e Pellegrini sono state ricostituite la cosiddetta “camaron d’oro”, la sala a fogliami e l’Antitribuna che precede la Tribuna, tutte riccamente arredate con pezzi di eccezione.
Quando finalmente si accede alla Tribuna, la visione è inaspettata, sorprende nella sua meraviglia di architettura prima ancora che di collezione. Lo sguardo corre lungo le pareti circolari di questo ambiente ricamato di marmi e intarsi policromi. Una spirale con tre ordini di livelli espositivi tra mensole e nicchie conduce come una vertigine verso l’alto, facendo perdere lo sguardo in una cupola altissima, decorata da stucchi a cassettone che si smaterializzano in ampie vetrate. Al centro, oggi come allora, il volo dell’aquila che rapisce Ganimede, sospeso nella luce che irradia dall’alto. L’illuminazione zenitale conferisce allo spazio una sacralità che rende la Tribuna un pantheon della scultura antica. Il punto di osservazione perfetto è quello centrale, il cuore di un sistema solare a 360° tra sculture e busti che sono un viaggio nella storia e nel tempo. Dei e semidei, miti, eroi, filosofi, condottieri, figure allegoriche. Corpi e volti, insieme a oggetti simbolici che racchiudono il segreto della loro identità, del loro destino, della loro memoria. Dopo il primo colpo d’occhio si iniziano a prendere in esame porzioni dello spazio, mettendo a fuoco opere e dettagli dell’architettura. Le sculture – animate da marmi e pietre in una gamma cromatica che va dal bianco abbagliante al grigio, al rosso, al nero – sono spesso abbinate per affinità di genere, postura o dimensioni.
Una Baccante ritratta con una pelle di capra a tracolla e una mezza luna sopra la testa, Pomona che alza con la mano un lembo della veste pieno di frutti, Leda abbracciata con un cigno, Eros che incorda l’arco, una vittoria alata. Poi, grandi statue di Bacco, Sileno e Afrodite, più piccole per Narciso, Fiume, Venere. E ancora decine di ritratti, molti di sconosciuti, ma si indovina anche l’imperatore Adriano, e putti, satiri, kore, mascheroni, urne funerarie, basi di candelabro. Un’opulenza di soggetti, stili, materiali.
Intanto, Isabella Rossellini e Jude Law continuano il loro racconto, accompagnano con voce serena ed elegante, a loro agio in una situazione che sembra un set cinematografico. Un kolossal dove fantasia e magnificenza giocano con il reale.