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 2019  agosto 30 Venerdì calendario

Una nuova biografia di D’Annunzio

WIMBLEDONX
Stenderne i difetti al sole e attendere che con il tempo evaporino lasciando un’essenza feconda sul fondo, come accade per molti scrittori, filosofi e politici, con Gabriele d’Annunzio non funziona. Innanzitutto occorrerebbe una piazza d’armi per contenerli tutti, i difetti. In secondo luogo, operò per tutta la sua lunga esistenza per mostrarsi umanamente peggiore di quanto in realtà fosse. Era un intento dichiarato. Non voleva forse essere l’inimitabile? Il superuomo che lascia traccia di sé scandalizzando la borghesia provinciale che l’ha generato, prosperando sui grandi spazi, le speculazioni e gli intrallazzi inaugurati dalla freschissima Unità d’Italia? In un progetto di vita simile, o diventava (cinicamente) un novello San Francesco, ma i lombi che l’avevano generato gli avevano trasmesso altre impellenti necessità, o si modellava in proprio. Creava, appunto, Gabriele d’Annunzio. Ci riuscì forzando sempre il destino, come un Alfieri legato alla sedia che si costringe a non demordere, come una personalità disturbata che trae dai propri stati depressivi la forza inumana di dispiegare allo zenit la capacità creativa di cui era indubbiamente superdotato.
Ma l’Imaginifico (con una «m» sola) è infinite altre cose, è un tassello ineludibile del mosaico novecentesco, anche se la prima metà della sua vita, quella più da rotocalco, l’ha vissuta nel secolo precedente. L’Imaginifico è il titolo della biografia, anzi, di Una vita di Gabriele d’Annunzio, come recita il sottotitolo, in libreria il 5 settembre per i tipi di Neri Pozza nel centenario dell’impresa di Fiume. L’autore è Maurizio Serra, diplomatico di carriera, raro esempio di intellettuale italiano di respiro internazionale incapace di farsi imbrigliare nelle combriccole provinciali.
Per anni ha studiato senza preconcetti il modello umano di «esteta armato» che ha infiammato l’immaginario europeo nei primi quarant’anni del secolo scorso. Il suo D’Annunzio sfugge così agli schemi rigidi di chi, di volta in volta, ne ha estrapolato l’esistenza di letterato, di esteta, di politico, di principe rinascimentale, di esiliato in riva a un lago dorato. L’Imaginifico di Serra è un fenomeno sociale, un modello antropologico, un fermento rivoluzionario paludato in epiteti medievaleggianti, una sedimentazione di Goethe e di Nietzsche. Senza di lui è impossibile comprendere i Lawrence d’Arabia, gli André Malraux, gli Antoine de Saint-Exupéry, la guerra di Spagna, il fascismo e l’antifascismo, il nichilismo in salsa occidentale. Persino, azzarda Serra, Thomas Mann o Pier Paolo Pasolini. D’Annunzio è il latino che si è posto al di là del bene e del male, pensiero calato dalle brume nordiche, reinventato però a modo suo. Nella mente di D’Annunzio, «il passato non val più nulla, né vale il presente. Il presente non è se non lievito».
Quando smembrarono la Capponcina, la villa dove abitava presso Firenze, per saldare i suoi debiti, si rammaricò di non aver avuto l’opportunità di far avvampare nel fuoco, con le proprie mani, quel mondo già andato, su cui non avrebbe più calcato un passo. Fu dunque un immanente adolescente. La sua fu una vita vissuta perennemente allo stato nascente, ciò che si sperimenta nell’innamoramento, ma che poi, fortunatamente, si consolida in altro.
Ciò che d’Annunzio non comprese fu la deriva in cui sarebbe stato trascinato dal fascismo e dal nazismo. La sopraffazione, il razzismo, l’abominio, la depravazione, che è un gioco da ragazzi estrapolare dalla sua opera, anche se simili comportamenti umani (al di là della propaganda facinorosa cui si lasciò andare nei confronti dei nemici politici) non gli corrispondevano.
Ne I sette Pilastri della saggezza, il colonnello Lawrence ammonisce: «Tutti gli uomini sognano ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte nei polverosi recessi delle loro menti, scoprono al risveglio la vanità di quelle immagini. Ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi per sé e per gli altri, perché può darsi che recitino il loro sogno ad occhi aperti per attuarlo». Pensava a sé e svelava d’Annunzio, la cui opera è stata ufficialmente riposta nella soffitta del bric-a-brac, insieme alle imprese amorose e agli oggetti accatastati al Vittoriale, salvando nelle antologie scolastiche solo Alcyone (non se ne poteva fare a meno) e La figlia di Jorio (sfugge agli schemi dannunziani).
Poi, come accade in Italia, chi ha tanti detrattori, per contrappasso accumula ciechi sostenitori. D’Annunzio, però, non è Fausto Coppi e Serra, stendendo i panni sporchi dell’Imaginifico, lo riporta alla luce del Sole.