ItaliaOggi, 30 agosto 2019
Periscopio
Renzi è un capetto, un ducetto… Anzi ha fatto il ducetto senza esserlo. Non è male in politica fare i capi o i duci, ma bisogna esserlo. Massimo Cacciari, filosofo. (Claudio Sabelli Fioretti). il venerdì.Il peccato di gola è quello che, mantenendoci in vita, ci permette di esercitare tutti gli altri. Cesare Marchi, Quando siamo a tavola. Rizzoli, 1990.
Ben presto il genio sarà considerato come nicotina e tolto di mezzo. Jean Cocteau, Guida ai grandi aforisti, Odoya, 2018.
L’intellettuale scambia il prologo dei Pagliacci con l’Inno alla gioia ma lamenta che la lingua italiana sia poco musicale. Eugenio Montale. Corsera, 1951.
Nella nostra società si sta sempre più diffondendo l’idea che studiare sia inutile. Mi torna in mente il secondo film di Checco Zalone, Che bella giornata, in cui il protagonista tenta di sedurre una splendida ragazza maghrebina mostrandole come funzionano le cose in Italia e aggiunge: «In questo Paese studiare non serve a un cavolo» (Checco Zalone non diceva «cavolo», ma il concetto era quello). Aldo Cazzullo. Corsera.
Il governo se ne è andato senza avere riformato la magistratura. Non è stato in grado di europeizzarla, separando le carriere: da un lato, i pm; dall’altro, i giudici. Neanche ci riusciranno i governi prossimi venturi. Le toghe non vogliono, i politici titubano, la Costituzione si oppone e andrebbe cambiata. Non ci sono le condizioni, direbbero i politologi. Giancarlo Perna. LaVerità.
Le guerre tradizionali saranno sempre meglio della guerra nucleare, che lascia poche speranze di sopravvivenza. Alla fine degli anni 70 l’Ufficio per la tecnologia del Congresso americano pubblicò un rapporto sulle conseguenze di un’eventuale guerra nucleare globale. In questa prospettiva si perderebbe il 70 per cento della popolazione degli Stati Uniti. Allargandole all’intero pianeta, le conseguenze di una catastrofe nucleare la popolazione mondiale si ridurrebbe a 2 miliardi (la stessa del 1945), con un mondo ridotto a macerie, senza alcuna garanzia di sopravvivenza reale. Fabio Mini, già generale di corpo d’armata. (Aldo Forbice). LaVerità.
Una volta Giorgio Bocca mi disse che era molto geloso del mio modo di lavorare. Probabilmente io scrivevo cose che apparivano assurde a lui che era un maestro ma anche un uomo tradizionale. E forse mi guardava incuriosito perché ero spiritosa, chissà. Mi apprezzava e mi detestava. Natalia Aspesi, 90 anni, giornalista. (Simonetta Fiori). la Repubblica.
La mia vita solidale è iniziata nel 2001, una settimana dopo l’attentato alle Torri gemelle. Ero in un paese islamico. Ho però pensato che in fondo era più pericoloso lavorare alla Deloitte, a due passi dal consolato americano di Milano. Mi occupavo del reinserimento degli ex combattenti della guerra civile. Ex ribelli capaci di usare le armi, andavano sottratti a una vita da banditi. Con il microcredito e favorendo mini-allevamenti. Ho anche aiutato un gruppo di donne ad aprire un ristorante. Camilla Lunelli, responsabile comunicazione di Cantine Ferrari. (Luciano Ferraro). Corsera.
Passati 40 anni, della terrorista Paola Besuschio, che al momento dell’arresto si era appellata al rispetto della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, ci restano i filmati postati nel suo profilo Facebook. Il più recente mostra due maialini che giocano a calcio con un pallone di peluche, davanti a un albero di Natale allestito in salotto. Libera, ma imborghesita malamente. Stefano Lorenzetto, scrittore. l’Arena.
Seppi che in un cinema non distante dalla stazione Termini c’erano delle donne un po’ avanti nell’età che ti pagavano. Ero giovanissimo, non avevo soldi e non c’era lavoro. Entrai nel cinemino loschissimo. Le spettatrici si accontentavano di qualche bacio furtivo. Poi una sera una donna di cinquant’anni, lo sguardo lievemente strabico, mi chiese di accompagnarla in albergo. La seguii. Lei si spogliò nuda. Mi sorprese perché aveva ancora un corpo bellissimo. Sentii una specie di attrazione. Mi chiese di dormire con lei tutta la notte. Accettai. Poi fui preso da un’ansia fortissima. Pensavo: ma che sto a fare qui? Sono scappato da Palermo per ridurmi a questo? Mi rivestii e feci il gesto di salutarla. Dalla borsetta estrasse una scacciacani e me la puntò addosso. Le dissi: «Ma che fai?». «Tu devi restare qui tutta la notte», gridò «tutta la notte!». Inventai che la mattina seguente avevo degli esami all’università. Le parlai a lungo. Si convinse a lasciarmi andare. E quella fu l’ultima volta che feci il gigolò. Lando Buzzanca. (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Durante la prigioniera nel campo di sterminio di Buchenwald io, cattolico e resistente francese, ho sempre tenuto presente, e mi ha sempre riconfortato, il libro di Giacobbe, quelli degli afflitti: «Nudo sono uscito dal seno di mia madre. Nudo ritornerò nel seno della terra. Dio mi aveva donato tutto, Dio mi ha tutto ritirato». Hélie de Saint Marc, Les champagnes de braise. Perrin, 1995.
Alle volte mi prende la nostalgia. Mi vengono in mente: il tram, l’abito su misura del sabato, il lattaio che ci faceva trovare le bottiglie di vetro ogni mattina sull’uscio di casa, le osterie, la bottega del droghiere con il suo profumo da suk mediorientale, la cartoleria dei fogli protocollo la mattina prima del compito in classe, la penna stilografica, la gita in pullman di un giorno con pranzo al sacco, il calciobalilla dell’oratorio, l’abbronzatura sull’isolotto Maggi, il guado del Po a nuoto con l’anguria sotto un braccio, il rito della cena in casa con gli amici. Corrado Ambiveri, Piacenza passato prossimo. La Luna nel pozzo, 2005.
Il 4 novembre 1918, la piazza centrale di Trieste che presto non si chiamerà più «piazza Grande» ma «piazza Unità» è piena di gente per festeggiare la disfatta dell’impero austro-ungarico. Il giorno prima, alle 16 quattro navi da guerra italiane erano arrivate nel porto per prendere possesso della città. Era la fine della presenza austriaca che risaliva al Medio Evo. Jèrôme Gautheret. Le Monde.
Tre anni dopo la morte di Bud Spencer non so che cosa mi manca di lui. Io ero abituata alle sue assenze. Era un uomo molto libero, andava, veniva… Ho convissuto con la sua assenza. E quindi non mi manca. Aspetto che, come al solito, mi chiami. Maria Amato, vedova di Bud Spencer. (Alessandra Paolini). la Repubblica.
Parlava di lui con affetto, che recava a lei, ombra, un messaggio del morto, trasmesso attraverso quegli acquitrini del tempo che gli scomparsi possono guadare tanto di rado. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo.
A Vittoria ormai obbedisco anche se mi dà un ordine sbagliato. Roberto Gervaso. Il Messaggero.