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 2019  agosto 30 Venerdì calendario

Tassa per la Germania dell’Est. Dopo trent’anni dal crollo del Muro se ne sta discutendo

Mi chiedo quanto siano pesate in piombo le virgolette volute da Axel Springer nei suoi giornali quando scrivevano dell’altra Germania, quella rossa al di là della Cortina di Ferro: per decenni, Ddr tra Gänsefüssen, letteralmente zampette d’oca, come in gergo vengono chiamate le virgolette, a indicare che la Deutsche Demokratische Republik, non era democratica, e non era tedesca, ma una colonia dell’Unione Sovietica. Il tycon della stampa si batté contro la divisione, e negli ultimi tempi veniva sbeffeggiato per la sua speranza che un giorno, prima o poi, la patria sarebbe tornata unita. Un illuso, e un reazionario. Morì a 73 anni, il 22 settembre del 1985, quattro anni e qualche settimana prima della caduta del Muro.

Le zampette d’oca scomparvero dalla Bild Zeitung, dalla Welt, e dagli altri quotidiani del gruppo, con frettoloso anticipo: il 2 agosto dell’89. Il direttore della Bild, che vendeva ancora 4,5 milioni di copie e vantava 13 milioni di lettori, giustificò la decisione con «i nuovi tempi». Non era più attuale negare l’esistenza dell’altro Stato tedesco, ammesso ormai all’Onu. Per la cronaca, nell’articolo la Ddr veniva nominata quattro volte. I lettori la presero male, quelli che erano d’accordo e quelli contrari.

Le virgolette sparivano per motivi economici: la Springer Verlag aveva iniziato la conquista dell’Est, prima del crollo dell’Urss, con le sue testate in Polonia e in Ungheria. Le Gänsefüssen erano un problema diplomatico per i governi di Varsavia e di Budapest, che volevano mantenere buoni rapporti con la Ddr. Quando cadde il Muro, la Bild ammise l’errore: aveva avuto ragione il vecchio Axel.

Si celebrano i trent’anni di quello storico 9 novembre, e il ministro delle finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, promette un’altra «cancellazione»: dovrebbe sparire il contributo di solidarietà che tutti i tedeschi, e anche io, paghiamo per la ricostruzione della scomparsa Ddr, senza virgolette. L’anno scorso ha fatto incassare 18,9 miliardi di euro. Quando nel 1995 Helmut Kohl annunciò la stangata fiscale a favore dei 17 milioni di fratelli orientali ritrovati, garantì che sarebbe rimasta in vigore per breve tempo, «fin quando sarebbe stata necessaria». Da siculo scettico o realista previdi che sarebbe stato per sempre. Facile avere ragione.

Mi chiedo che cosa all’Est sia stato ricostruito a mie spese in questi 24 anni grazie al «Soli», come viene chiamato familiarmente il Solidaritätzuschlag. Dall’8,5% «in più» sulle mie imposte si è scesi gradualmente all’attuale 5,5%. Scholz promette che dal 2021 il 90% dei contribuenti sarà liberato dall’imposta, e un altro 6,5% la pagherà solo in minima parte.

Come al solito non è facile fare i calcoli quando si è alle prese con il fisco: fino a 73.874 euro un single non dovrà pagare nulla, fino a 109.450 euro, in misura ridotta. Oltre, continuerà versare come prima il contributo per la scomparsa Ddr. Una famiglia con due figli sarà esente fino a 155 mila euro di reddito. Appena il 3,5%dei contribuenti dovrebbe continuare a pagare interamente il «Soli». Non tutti sono d’accordo. I liberali hanno già denunciato la riforma come anticostituzionale: viene trasformata in una supertassa per ricchi. Il manager di una grande azienda, con uno stipendio da sei milioni di euro, continuerebbe a pagare 140mila euro all’anno in più, e il «Soli» verrebbe versato dalle aziende. Inoltre, l’anno venturo scade la legge straordinaria per l’Est, e la stangata finirebbe nelle casse statali, senza una precisa destinazione.

Al boom decennale della Germania comincia a mancare il fiato, le casse dello Stato non sono vuote ma neanche traboccano come prima, i tedeschi dell’Est sono scontenti e votano per i populisti dell’AfD, e forse il «Soli», scritto sempre tra zampette d’oca, sopravviverà, magari cambiando nome. All’italiana.