La Stampa, 30 agosto 2019
non c’è più la Lega, lo spread cala
VANITYXOrmai dovremmo esserci, anche se l’imprevedibilità della politica italiana suggerisce ancora un po’ di prudenza. Nel giro di qualche giorno dovremmo avere un nuovo governo. Governo nuovo, ma problemi vecchi. Facciamo il punto della situazione economica, anche tenendo conto degli sviluppi più recenti sui mercati finanziari. Al solito ci sono buone e cattive notizie. Cominciamo dalle prime.Il rapido calo dello spread negli ultimi giorni è la prima buona notizia e sembra riflettere l’apprezzamento dei mercati finanziari per lo scampato pericolo di nuove elezioni che avrebbero probabilmente portato i sovranisti al governo. Lo spread scende allora perché lo vogliono i poteri forti? Mah, a me non sembra sia necessario pensare a una congiura internazionale per spiegare perché i mercati, cioè chi presta soldi all’Italia, si senta rassicurata dall’uscita dal governo di una forza politica, la Lega, che aveva più volte invocato la necessità di aumentare il deficit pubblico in modo significativo anche a rischio di uno scontro con l’Europa. La Lega potrà lamentarsi di non aver avuto la possibilità di mettere in atto un nuovo approccio di politica economica basato su un indebolimento dei nostri conti pubblici. Magari avrebbe potuto farlo se non avesse staccato la spina al governo precedente. Non lo sapremo mai. Ma certo non c’è da stupirsi se lo spread, dopo essere cresciuto rapidamente alla prospettiva di nuove elezioni, sia poi sceso alla prospettiva di un governo senza la Lega.
I benefici
Lo spread più basso fa bene all’economia italiana per due motivi. Primo perché il suo calo fa risparmiare tanti soldi allo stato. Con un debito di quasi 2400 miliardi, un calo di mezzo punto percentuale dei tassi di interesse comporta un risparmio nel lungo periodo di 12 miliardi, anche se nell’immediato l’effetto è molto inferiore. Secondo, lo spread più basso rafforza il capitale delle banche e consente loro di fare più prestiti. Terzo, c’è un effetto psicologico non indifferente: il calo dello spread segnala l’allontanamento del rischio di una crisi tipo quella che abbiamo attraversato nel 2011-12, una crisi i cui effetti ci stiamo ancora portando dietro.
L’altra buona notizia giunge pure dai mercati finanziari. Ci sono tutte le premesse perché le principali banche centrali mantengano basso il costo del denaro, probabilmente con tassi ancora negativi per parecchio tempo sugli investimenti in euro a rischio zero, i bund tedeschi, per intenderci, quelli a cui si somma lo spread. Gli acquisti di titoli di stato da parte delle Bce, il cosiddetto quantitative easing, non sarà un toccasana per l’economia (le banche sono già piene di liquidità e semmai non prestano per scarsità di capitale proprio), ma facilita il finanziamento del debito pubblico.
Dal lato dell’economia reale però le notizie continuano a non essere buone. Le previsioni dell’OcseE pubblicate di recente si aggiungono a quelle delle altre principali organizzazioni internazionali nel dirci che il Pil mondiale sta rallentando. Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo avuto cinque trimestri di crescita zero. Sembrava che il terzo trimestre del 2019 potesse andare meglio, ma gli ultimissimi dati non sono favorevoli, compreso l’andamento del fatturato e degli ordinativi e del clima di fiducia di famiglie e imprese.
In questa situazione il futuro governo ha due priorità: tenere in ordine i conti pubblici e sostenere la crescita. Il raggiungimento di entrambe è facilitato dai bassi tassi di interesse, ma non basta. Sul fronte dei conti pubblici, Tria ha di recente detto che è possibile disinnescare l’aumento dell’Iva. Credo abbia ragione perché le misure di risparmio introdotte in giugno per evitare l’apertura di una procedura d‘infrazione faranno risparmiare un po’ di soldi anche nel 2020.
Ma restano da trovare almeno una quindicina di miliardi, possibile, come dice Tria ma non facile, a meno di non trovarli in deficit. Ma come reagirebbero la Commissione Europea e i mercati finanziari a un aumento del deficit? Credo sarebbe semplicistico pensare che, ora che la Lega non è più al governo, la Commissione sarà molto più generosa con l’Italia. Il rallentamento economico consente, sulla base delle regole esistenti, un minor aggiustamento dei nostri conti pubblici, ma c’è un limite. Per quanto riguarda la crescita il nuovo governo dovrò affrontare, ancora una volta, diversi nodi irrisolti dell’economia italiana: un eccesso di burocrazia, un sistema pubblico che funzione male in molti settori chiave (compresa la lentezza della giustizia), un’evasione fiscale tra le più alte in Europa, un Mezzogiorno che perde ancora terreno rispetto al Nord, una debole capacità a innovare, anche per una scuola pubblica che ha subito notevoli tagli nel corso dell’ultimo decennio, gli effetti del crollo demografico.
Le riforme
Cosa ci sarà nel nuovo programma di governo? Ancora non lo sappiamo ma i punti presentati qualche giorno fa dai pentastellati e dal Pd hanno aspetti condivisibili (green economy, giustizia più veloce, lotta all’evasione fiscale), ma sollevano in campo economico più domande di quelle a cui rispondono. I cinque stelle vogliono una manovra “equa” in cui non si aumenta l’Iva, si taglia il cuneo fiscale, si spende di più per le famiglie, la natalità, i disabili, l’emergenza abitativa e si introduce il salario minino, con costi a carico dello stato. Il PD mette sul piatto un generico rinnovamento delle ricette economiche “in una chiave redistributiva e di attenzione all’equità sociale, territoriale, generazionale e di genere”. L’impressione è, ancora una volta, che si metta prima la redistribuzione del reddito della sua produzione. C’è poco o nulla tra i punti di entrambi i partiti che riguarda temi essenziali come la taglio della burocrazia, il miglioramento dell’efficienza della pubblica amministrazione e, soprattutto, l’investimento in capitale umano attraverso una pubblica istruzione moderna ed efficiente. Non si parla di concorrenza, cosa strana perché a un governo di sinistra non dovrebbero piacere i monopoli e gli interessi particolari. E non si parla di conti pubblici: i cinquestelle promettono meno tasse e più spesa; i PD una redistribuzione che, a meno di voler aumentare le tasse su qualcuno, comporterebbe un buco nei conti dello stato. È troppo presto per giudicare. Ma, se davvero come dice Conte, deve essere un governo all’insegna della novità, dovrà esserci uno chiaro stacco rispetto a un passato che ha portato l’Italia a essere ormai per diversi anni il fanalino di coda della crescita europea.