il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2019
L’esame regalato di Pio Baldelli
Di tutte le leggende dell’Università di Firenze nei leggendari anni Settanta, la più leggendaria era la cattedra di Pio Baldelli. Teorico della controinformazione, ex direttore di Lotta Continua, indagato e condannato per alcuni articoli in favore dell’anarchico Pinelli... In tempi di assemblee e occupazioni permanenti, l’unico professore più a sinistra del Movimento, agli antipodi dai “fascisti” ma lontano anni luce anche dai cupi baroni cattocomunisti. Nel piano di studi di ogni studente impegnato non poteva mancare l’esame di Storia del Cinema alla facoltà di Magistero di via del Parione; Baldelli aveva aperto all’esame di gruppo, e con i miei compagni di corso non avemmo dubbi, l’avremmo dato assieme. C’è sempre una prima volta, ed era questa.
Ma noi facemmo di più. Proponemmo di unirsi a noi a Sara, Cristina e Giulia, tre studentesse a loro volta molto amiche, a cui da un po’ facevamo il filo senza troppo successo. Non erano granché cinefile, ma nessun problema; la tesina l’avremmo scritta noi tre, un quarto d’ora di colloquio e la promozione era assicurata. Le ragazze, forse anche per il riverbero charmeur della fama di Pio Baldelli, delle feste nella sua casa di via dell’Oriolo, dissero sì. Restava solo da decidere l’argomento della tesina che poi avremmo discusso tutti assieme appassionatamente. In facoltà vigeva un lussureggiante mercato nero di tesi di seconda mano, usato sicuro riciclabile senza problemi; andavano per la maggiore le tesine sul “Cinema delle ombre”con cui si era arricchito un collettivo di studenti greci fuoricorso. Nessuno sapeva niente di questa antica tradizione egea, nemmeno i prof, quindi si andava sul sicuro. Ma noi facemmo di più. Eravamo veramente appassionati di cinema e volevamo fare bella figura con le ragazze. Così ci impegnammo in una dotta tesina sull’ultimo Pasolini, dove ci scagliavamo contro la censura inflitta a Salò o le 120 giornate di Sodoma, una difesa appassionata su cui Baldelli non poteva che essere d’accordo. Consegnammo la nostra tesi agli assistenti, e una settimana dopo arrivò il giorno dell’esame. «Complimenti, avete fatto un buon lavoro». Alto, stempiato, fronte convessa, basette brizzolate alla Michel Piccoli, Baldelli era di bell’aspetto, ma anche di ottimo umore. Ci fece cenno di accomodarci alla spicciolata, come fossimo in un salottino. La nostra tesina a sei firme giaceva sul tavolo davanti a lui, immacolata. «Grazie professore». Con A. e R. scambiammo uno sguardo d’intesa. Questi sì che sono esami. Le ragazze, che alla tesina avevano dato un contributo relativo, annuivano. «Però non si può discutere di Salò senza avere visto tutto il cinema di Pasolini…». «Certo, professore». «E voi il cinema di Pasolini l’avete visto tutto, naturalmente…». Dopo un altro rapido scambio di sguardi A. prese la parola. «Be’, professore, a essere sinceri, non proprio. Nessuno di noi li ha visti tutti, però ogni film di Pasolini è stato visto da almeno uno di noi». «Ci siamo confrontati», aggiunsi, «è uno dei motivi per cui abbiamo deciso di dare l’esame di gruppo». «Bisognava coalizzare le forze». «Ah, è per questo. Bravi. Allora parliamo un momento del primo Pasolini. Teorema, per esempio. Chi di voi l’ha visto?». Non si sarebbe sentita volare una mosca. «Io no», sibilò dopo qualche istante A., il primo a riprendersi dalla doccia gelata. «Io no», disse Sara, una biondina con gli occhi azzurri seduta accanto a lui. «Io no» fece eco la riccioluta Cristina. «Io nemmeno», mormorò la longilinea Giulia, che per l’occasione aveva sfoggiato una delle sue celebri minigonne. Come in Mezzogiorno di fuoco, a fronteggiarci in silenzio eravamo rimasti io e M. «Io no», disse M. con voce rotta. Le sorti del gruppo erano rimaste nelle mie mani. Se avessi ammesso che nemmeno io avevo visto Teorema, il professor Baldelli avrebbe avuto ragione a cacciarci. Capitava di rado, ma capitava. Impreparati e profittatori della buona fede del compagno professore. Addio esame; e addio ragazze. «Io sì». «Bene. Parlamene». Tutti gli sguardi si rivolsero su di me. Quello del professore, ma soprattutto quelli dei miei compagni di esame. L’avrà visto davvero? Speriamo che abbia almeno letto la trama. Ma Teorema non solo non l’avevo visto; non ne avevo la più pallida idea. Per un attimo ebbi la tentazione di dileguarmi; ma poi lanciai la stampella, come Enrico Toti. “Teorema…” scandii alzando gli occhi al soffitto, come se volessi afferrare le parole nell’iperuranio, «è un film teorematico…». Bastò. «Giusto», mi interruppe Baldelli, che non amava le sofferenze altrui. «Decisamente un film teorematico, altrimenti non si sarebbe intitolato Teorema. Un po’ come Salò, per questo volevo essere sicuro che almeno uno di voi l’avesse visto». Una decina di minuti dopo, trascorse un paio di ovvietà a testa sulla Trilogia della vita e la sua abiura, il professore ci riconsegnò i libretti in bianco. «Scrivete voi. Poi io firmo». «Scriviamo anche il voto?». “Certo. A proposito: voi quanto vi dareste?». Ancora una volta non si sarebbe sentita volare una mosca. E ancora una volta il più lesto fu A. «Trenta?». Il professor Baldelli fece un’ultima panoramica del gruppo di esaminandi seduti davanti a lui. Ci aveva dato una lezione, ma in fondo non ce l’eravamo cavata male, soprattutto nella scelta della squadra. «Trenta». E trenta fu.