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 2019  agosto 29 Giovedì calendario

Bond Usa alle stelle: paura recessione

L’ultimo campanello d’allarme è risuonato ieri mattina sui mercati dell’Estremo Oriente, dove il rendimento del bond Usa a 30 anni è scivolato all’1,90%. Un record storico. Negativo. Tassi spinti sempre più in basso, questa volta dagli acquisti degli investitori orientali, sono la cartina al tornasole delle crescenti paure di recessione.
Ad alimentarle, le possibilità crescenti di una Brexit disordinata dopo al sì alla chiusura del parlamento fino al 14 ottobre, ma soprattutto il dialogo tra sordi Stati Uniti-Cina che dal versante commerciale si sta estendendo al fronte valutario. Senza muovere un dito, la People’s Bank of China ha lasciato che lo yuan si deprezzasse questa settimana fino a raggiungere il valore più basso degli ultimi 11 anni.
Ma se i dazi sono una spina nel fianco dell’economia globale, il paradosso sta nel fatto che più le tensioni si esacerbano, e più si cerca rifugio nel safe heaven del dollaro. Col risultato di provocare continue inversioni nella curva dei rendimenti dei T-bond, come è successo ancora tra il titolo a 10 anni (1,47%) e quello a due anni (1,51%). Il confronto con il trimestrale è perfino più sconcertante: 47 punti base di differenza rispetto al decennale non si vedevano dal marzo 2007, cioè pochi mesi prima dello scoppio del bubbone dei mutui subprime. Un’analogia inquietante. Anche perché, storicamente, il ribaltamento della curva dei tassi anticipa di 12-18 mesi l’ingresso dell’America nella palude recessiva. C’è chi dice che stavolta non andrà così: ci salveranno le banche centrali.
Eppure, visto l’aria che tira, le corporation a stelle e strisce stanno liberandosi a piene mani dei titoli azionari in portafoglio: in agosto, in base ai calcoli di TrimTabs, ne hanno vendute – ogni giorno – per un controvalore pari a 600 milioni di dollari. La fiducia sulla tenuta del Toro a Wall Street sta insomma vacillando. Il problema che però si pone è dove collocare la liquidità una volta deciso di prendere il largo dal mercato azionario. Il mondo è ormai popolato da titoli sovrani con rendimenti negativi: l’ultimo calcolo parla di 16.800 miliardi di dollari. L’unico modo per guadagnare è lucrare sul prezzo. Il fenomeno è destinato a ispessirsi.
Se la Svezia sta studiando un bond a 100 anni con tassi sotto zero, sono le principali banche centrali a guidare le danze. Abn Amro prevede che in settembre la Bce taglierà di 10 punti base i tassi sui depositi, già in territorio negativo (-0,4%), mentre Société Général stima una riduzione di 20 punti. L’intervento sui tassi sarà corroborato da un programma di acquisto titoli da 40 miliardi di euro mensili, senza scadenza incorporata.
Quanto alla Federal Reserve, è assai probabile un calo del costo del denaro dello 0,25% il mese prossimo. Sempre che Jerome Powell non abbia deciso di dichiarare guerra a Trump (La Fed non può stare mentalmente al passo con altri Paesi, non sa quello che sta facendo, l’attacco di ieri dell’inquilino della Casa Bianca) come peraltro vorrebbe l’ex presidente della Fed di New York, William Dudley, secondo il quale The Donald è una minaccia per l’economia Usa e mondiale. Tanto pericoloso da suggerire alla banca centrale – incurante del rischio di comprometterne l’indipendenza – di usare l’arma della politica monetaria per impedire la rielezione del tycoon nel 2020. Per la Cina, sarebbe il miglior scenario possibile.
Insomma, da più parti nel mondo si sta scherzando col fuoco. E il rischio di ustionarsi è alto. Uno strategist di peso come il fondatore di NortmanTrader, Sven Henrich, è convinto che se le banche centrali non riusciranno a mantenere il controllo dei mercati attraverso le politiche di allentamento, l’intero pianeta si infilerà nel tunnel di una crisi tale da far precipitare lo Standard&Poor’s fino a quota 2.100 punti. Una perdita secca del 27% rispetto ai livelli attuali. Una spirale della morte che non lascerebbe scampo a nessuno.