La Stampa, 29 agosto 2019
Il tumulto dei Ciompi
Le rivolte popolari del Medioevo presentano tutte le stesse caratteristiche: esplodono in modo improvviso e inaspettato, scatenano una violenza estrema, fanno tremare regni e vacillare regimi, ma durano poche settimane e vengono stroncate nel sangue senza lasciare quasi traccia, se non nel ricordo. Durante la Guerra fredda, sull’interpretazione di queste sommosse si è giocata una partita dalle evidenti connotazioni ideologiche. Per gli storici sovietici erano la prova che già allora la lotta di classe covava sotto la cenere, che il popolo – i contadini nella Francia della Jacquerie, gli operai del tessile nella Firenze dei Ciompi – aveva ben chiari i suoi interessi, era unito da una solidarietà profonda e sapeva sognare la rivoluzione: ma nella società feudale, o protoborghese, la coalizione delle forze conservatrici era troppo forte per poter essere battuta. Per gli storici occidentali, invece, questa era tutta propaganda marxista, la lotta di classe un’invenzione dei comunisti, e le rivolte popolari solo proteste di affamati, senza un programma ideale e prive di qualunque spessore politico.
Oggi, raffreddate anche le ceneri della Guerra fredda, è possibile un’analisi più equilibrata: che la lotta di classe sia il vero motore della storia non lo crede più nessuno, ma che quelle rivolte fossero sommosse di poveracci che avevano soltanto voglia di saccheggiare è altrettanto falso. Dietro alle illusioni dei rivoltosi si scorge sempre con chiarezza uno scopo politico, la denuncia di un sistema ingiusto e una richiesta di partecipazione, da parte di masse che capiscono benissimo come funziona il potere, sanno di esserne escluse da sempre e si convincono all’improvviso di poter cambiare tutto.
In nessun caso la lucidità dei ribelli e la valenza politica del loro programma sono così evidenti come nel tumulto dei Ciompi, scoppiato in un mondo complesso come quello dell’Italia comunale. Firenze all’epoca era governata da un regime di popolo; ma popolo voleva dire la gente che tiene bottega, oggi diremmo gli imprenditori, grandi e piccoli. Organizzati nelle Arti, le corporazioni di mestiere, erano loro a esprimere i nove priori che a turno governavano la città, estratti a sorte ogni due mesi tra tutti gli iscritti, dall’industriale della lana fino al ciabattino. Ma a Firenze c’era una moltitudine di lavoratori che da tutto questo erano esclusi: gli operai specializzati che svolgevano, a domicilio, quasi tutte le fasi del lavoro, dal tessitore al tintore, pagati a cottimo dai padroni, e senza il diritto di organizzarsi a loro volta in sindacati.
In genere erano troppo poveri e troppo ignoranti per prendere parte agli incessanti conflitti che scandivano la vita politica di Firenze, una città di centomila abitanti spaccata su tutto e in mille modi diversi: i nobili contro il popolo, gli imprenditori ricchi (il «popolo grasso») contro negozianti e artigiani, i guelfi contro i ghibellini. Ma un giorno del luglio 1378, proprio mentre si consumava in città uno di questi conflitti, con le Arti che avevano mandato in piazza i loro iscritti per premere sul governo, successe l’impensabile: pian piano la piazza si riempì anche dei poveracci, dei sottoposti, degli operai non sindacalizzati; e i padroncini meno ricchi, i macellai, i muratori, i calzolai, gli osti si schierarono dalla loro parte contro il popolo grasso. E Palazzo Vecchio fu preso e i priori costretti a dimettersi, e il capo della polizia acchiappato e fatto a pezzi, e gli insorti, che tutti chissà perché cominciarono a chiamare i Ciompi, imposero le loro richieste.
Alcune erano sindacali: rivendicavano anche per gli operai il diritto di organizzarsi in corporazioni, di non essere più soggetti alla dura disciplina del sindacato padronale, di essere pagati il giusto per il loro lavoro. Ma a Firenze era impossibile separare le rivendicazioni economiche da quelle politiche, perché il governo era espressione delle corporazioni: e quando gli operai chiedevano di poter formare anche loro un’Arte, voleva dire che anche tra di loro, d’ora in poi, si sarebbero sorteggiati i priori.
Così nacque l’Arte dei Ciompi, che riuniva tutti quelli che lavoravano sotto padrone, e che ebbe diritto a un terzo di tutti i posti di governo. Ma durò poco: e fa impressione vedere come i modi con cui si può scalzare un regime rivoluzionario siano rimasti sempre gli stessi.
I ricchi si barricavano in casa, assumevano guardie private, mandavano fuori città le famiglie e le mercanzie. Le botteghe erano chiuse, la disoccupazione cresceva. I nuovi priori fecero leggi per ordinare di aprire le botteghe, costringere gli imprenditori a dare lavoro, vietare ai ricchi di lasciare la città; gli artigiani e gli esercenti si spaventarono di quei decreti rivoluzionari, e il nuovo regime perse consenso. I malcontenti sobillavano il popolo dicendo che i priori avevano tradito la causa, e nutrivano i poveri solo di parole. I rivoluzionari crearono una milizia armata che cominciò a guardare a muso duro tutti gli altri cittadini, come se fossero nemici del popolo; e il malcontento crebbe.
Alla fine le Arti minori, i bottai, i sellai, i falegnami, decisero che s’erano sbagliati, e che a loro conveniva stare con i ricchi piuttosto che con i Ciompi. I priori stessi, benché tre di loro fossero operai, decisero che bisognava farla finita con la rivoluzione permanente. Convocate le Arti in piazza, i Ciompi radunati sotto la loro nuova insegna vennero attaccati all’improvviso da tutti gli altri, i macellai in testa, armati con gli attrezzi del loro mestiere, coltellacci e mannaie. L’insegna dei Ciompi venne presa e stracciata, gli operai messi in fuga; quella notte le milizie delle Arti setacciarono i quartieri popolari, bastonando e violentando; l’indomani i tre priori operai vennero costretti a dimettersi, e la nuova Arte dei Ciompi fu sciolta.
I nuovi priori fecero capire subito che aria tirava: un artigiano fu sentito dire che il nuovo governo non era buono, e che non sarebbe durato; arrestato, gli tagliarono la lingua e la mano destra, «per dare esempio agli altri». C’è poi voluto il clima ideologizzato della Guerra fredda, perché un’intera scuola storiografica osasse pretendere che la rivolta dei Ciompi non aveva avuto nessun preciso obiettivo politico, ed era stata soltanto una sommossa di disperati.—
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