La Stampa, 29 agosto 2019
Venezia e il caso Polanski
Uno schiaffo avrebbe prodotto un effetto minore sul volto stupito del direttore Alberto Barbera. A poche ore dalla serata inaugurale della Mostra, le polemiche sopite per giorni esplodono virulente. Toni cortesissimi, parole come pietre. Ai capi opposti della singolar tenzone, appunto Barbera e la presidente della giuria Lucrecia Martel che, interrogata sull’opportunità di invitare il film di Roman Polanski, su cui pende un mandato di cattura Usa per una violenza sessuale commessa nel 1977, ha risposto senza pensarci due volte: «Io non separo mai l’uomo dall’artista, penso che dall’opera emerga l’uomo. La presenza di Polanski è per me un disagio. Sono in una situazione difficile, ho accettato di presiedere la giuria e ho scoperto dopo che lui aveva accettato. Vorrei stare a casa mia ma non sono un giudice, d’altro canto mi piacerebbe che questo episodio si rivelasse invece uno stimolo per parlare del delicato tema in un contesto tanto importante. Ho fatto ricerche per saperne di più e ho scoperto che l’episodio terribile dovrebbe essere considerato chiuso, perché Polanski aveva adempiuto a quanto richiesto dalla parte lesa. Per quanto mi riguarda sarò sempre dalla parte della vittima a lei va la mia totale solidarietà. Di certo non parteciperò alla cena di gala in onore del regista, non voglio trovarmi a doverlo applaudire. Che il suo film sia qui può aprire la discussione, spero». Più tardi, travolta dallepolemiche, preciserà: «Non ho alcun pregiudizio nei confronti del film e naturalmente lo guarderò allo stesso modo di tutti gli altri film del concorso. Altrimenti mi dimetterei».
A Barbera, perplesso per l’uscita a gamba tesa, non resta che ribadire quello che va ripetendo dal giorno della presentazione: «Io invece sono convinto che bisogna distinguere tra uomo ed artista. La storia è piena di capolavori realizzati da persone che hanno commesso crimini e mai abbiamo smesso di ammirarne le opere. È presto per storicizzare ma Polanski è uno dei grandi maestri del cinema e un giudizio estetico va espresso. Non ho mai avuto dubbi a proposito della mia scelta. Non sono un giudice ma un critico ed è quello che ho fatto invitando il film». Persino Emir Kusturica, membro di un’altra giuria, si lancia in una fumosa considerazione che distingue colpa e morale, atto e giudizio. Separazione che porterebbe in sintesi alla libertà di fare come si crede.
Atto secondo, va in scena la polemica sulla scarsa presenza di autrici femminili al Lido. E rispunta la proposta delle quote rosa. Orrore per Barbera, un esperimento interessante per Martel. «Sono contrario a mettere condizioni che vadano al di là della validità del prodotto nei festival – dice Barbera – sarebbe offensivo per le singole autrici e si verrebbe meno al criterio della qualità. Ogni altra considerazione è inaccettabile. Stiamo però arrivando a un cambio generazionale che fa ben sperare anche nell’industria cinematografica, molto maschilista e che ha pregiudizi fortissimi sulla capacità delle donne di tenere un set, puntualmente smentiti». E poi aggiunge piccato: «Io pregiudizi non ne ho, avrei preso più film realizzati da donne. Dei prodotti che mi sono arrivati il 23% era al femminile ma io e i miei selezionatori non li abbiamo ritenuti validi per il concorso». Argomento chiuso se Martel non avesse rilanciato: «Le quote possono prevedere criteri di qualità. Propongo l’esperimento di scegliere 50% e 50% tra uomini e donne. Così si creerebbe movimento nell’industria. Dopo 76 anni di Mostra sarebbe una bella sfida».
Paolo Virzì in giuria, concentrato sulla realizzazione di ritratti, come avveniva nei tribunali americani negli Anni 50 e non era esattamente fuori luogo, se ne è stato in disparte. E lei che ne pensa? Andrà alla festa per Polanski? «Resto basito, neanche commento. Sono in giuria per passione e per il gran divertimento di farmi una scorpacciata di film». Mentre Luca Barbareschi, tra i produttori di J’accuse, valuta di ritirarlo dal concorso «a meno che non arrivino scuse ufficiali. Siamo preoccupati non venga giudicato serenamente».
Bando alle polemiche sul red carpet dove i più eleganti sono essere il presidente della Biennale Paolo Baratta e il leone dello spot, tutti e due senza smoking operato, una rarità. Strascichi e paillettes, tra gli istituzionali il ministro dei Beni e delle attività culturali Alberto Bonisoli che ha voluto esserci nonostante tutto, il presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi e nelle intenzioni anche il presidente Mattarella che si merita l’unico applauso di cuore nonostante o per merito dell’assenza. Da Sandra Milo a Isabella Ferrari, da Toni Servillo di bianco vestito a Valeria Golino in total black, tutti approfittano dello sponsor che offre spritz in tinta con il tappeto. Glitterata Alessandra Mastronardi madrina della manifestazione che finalmente, a differenza di chi l’ha preceduta, ha mandato a memoria il compitino che si era scritta, recitato senza tentennamenti e con un numero limitato di papere. Che la Mostra abbia inizio e in bocca al leone. —