La Stampa, 29 agosto 2019
La Tanzania caccia i profughi del Burundi
La regione dei Grandi Laghi in Africa è sempre più l’epicentro di una crisi migratoria che tra sfollati interni, richiedenti asilo e rifugiati, coinvolge 11,6 milioni di persone. Una carovana di anime che non riceve la stessa attenzione di chi fugge verso il Mediterraneo, nonostante i numeri siano superiori. Una pressione ininterrotta sui già fragili rapporti intra-africani, complicati dal prolungarsi di conflitti ed epidemie che non conoscono fine.
L’ultimo caso riguarda la Tanzania, uno dei Paesi più stabili della regione dei Grandi Laghi. Il Ministro dell’Interno, Kangi Lugola, in un’intervista alla Bbc ha minacciato di espellere 200 mila profughi burundesi, se non rimpatrieranno volontariamente entro il 1°ottobre. Dal 2015 ad oggi, ogni giorno, centinaia di persone attraversano la frontiera che divide il Burundi dalla Tanzania in fuga dalla dittatura di Pierre Nkurunziza, il Capo di Stato burundese al potere dal 2005 pronto a perseguire i suoi oppositori con torture ed esecuzioni sommarie. Il timore della maggioranza dei rifugiati burundesi è che al loro rientro vengano schedati come oppositori politici, perseguitati ed uccisi.
Nel 2014 la Tanzania aveva mostrato empatia con la causa burundese offrendo la nazionalità a 160 mila profughi scappati durante la guerra civile durata dal 1993 al 2005. Ma il nuovo Presidente John Mugufuli, sergente di ferro alla guida della Tanzania dal 2015, ha introdotto politiche migratorie stringenti, accusando l’Agenzia Onu per i rifugiati di non rispettare le promesse. Secondo Mugufuli, lo scorso anno, si sarebbe siglato un accordo per cui ogni settimana 2 mila rifugiati dovevano rimpatriare in Burundi. Rana Hughes, portavoce regionale dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, ha ricordato alla Tanzania di essere Paese firmatario della Convenzione Onu che vieta il rimpatrio forzato di rifugiati e ha ribadito che, da settembre 2017, sono stati portati a termine 75 mila rimpatri volontari verso il Burundi.
Campo da 220 mila profughi
La disputa tra Tanzania e Burundi è solo l’ultima di una serie di scontri tra cancellerie africane per la gestione di rifugiati provenienti da Paesi limitrofi. A marzo, il Kenya ha minacciato nuovamente la chiusura di Dadaab, nel Nord del Paese, il terzo campo di rifugiati più grande al mondo dove si stima che siano presenti 210 mila persone, prevalentemente somali in fuga dalle milizie qaediste di Al-Shabaab. Più a Sud anche l’Angola ha iniziato ad usare le maniere forti nei confronti di circa 250 mila congolesi scappati dalla regione del Kasai dove son ripresi gli scontri etnici. Motivando l’espulsione con la necessità di fermare l’estrazione illegale di diamanti da parte di stranieri irregolari, le autorità angolane hanno accompagnato alla frontiera migliaia di congolesi.
I fondi per gli aiuti
È proprio il DRCongo il cuore del problema. Una guerra civile ventennale nel Nord-est del Paese, le centinaia di milizie, il perdurare dell’epidemia di Ebola ed i numerosi conflitti inter-etnici stanno costringendo alla fuga 50 famiglie ogni ora. Gli sfollati interni sono 4,49 milioni, mentre 746 mila persone sono fuggite nei Paesi limitrofi.
Anche Uganda ed Etiopia, Paesi modello nella gestione dei rifugiati, in grado di accogliere oltre 2 milioni di rifugiati principalmente dal Sud Sudan, stanno iniziando a vacillare a causa della riduzione dei fondi da parte della comunità internazionale. —