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 2019  agosto 29 Giovedì calendario

Il golpe di Johnson

Fuori dal Parlamento parte calma, con i soliti irriducibili che da mesi dannano la Brexit coi megafoni. Poi la protesta cresce, visceralmente, mentre calano le tenebre, lugubre metafora dell’ennesimo labirinto in cui si è cacciato questo Paese giuratosi alla Brexit. Owen Jones, il giovane paladino della sinistra laburista, ruggisce: «Questo è solo l’inizio. La nostra democrazia è in pericolo! Non daremo tregua al golpista Boris Johnson!». Boato della folla che si riversa in Abingdon street, intorno a Westminster. Strade bloccate, traffico e clacson impazziti.
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La manifestazione La proteste davanti a Downing Street
Frank Augstein/ap
dal nostro corrispondente Antonello Guerrera, Londra
segue dalla prima pagina
Il rombo degli elicotteri che squarcia il cielo sopra la notte del Parlamento britannico. Sì, è solo l’inizio. Dentro al Parlamento invece, all’ora del tè, compare eccezionalmente Philip May, il marito dell’ex premier Theresa. Elegante come sempre, entra in Portcullis House, l’ala vetrata di Westminster con mensa e bar. È solo, smarrito, spaurito. Cerca l’ufficio di sua moglie al terzo piano, ora che non vivono più a Downing Street. Ma non lo trova e girovaga a vuoto nella hall. È il simbolo di un vecchio e rispettoso Regno Unito, ora disperso, così distante dal nouveau régime del muscolare Boris Johnson.
È surreale. Nel Paese culla della democrazia parlamentare, Boris Johnson ha appena deciso di “chiudere” la Camera dei Comuni per oltre un mese e imbavagliare così l’opposizione che vuole ostacolare la sua Brexit dura del 31 ottobre, “vita o morte”, con o senza accordo. Le maestose stanze e i corridoi di Westminster sono vuoti, abbandonati. Idem la verde Camera dei Comuni, preda dei turisti prima del ritorno dei deputati martedì prossimo, quando inizierà una battaglia parlamentare senza precedenti.
Perché ieri Johnson si è permesso qualcosa di spaventoso: «Ho chiesto alla Regina di sospendere il Parlamento per un po’». I deputati lavoreranno soltanto la prossima settimana, poi Westminster chiuderà di nuovo fino al discorso di Elisabetta del 14 ottobre. Il pretesto è subdolo: i lavori del Parlamento britannico vanno a “sessioni”, Johnson ha deciso di interrompere quella corrente e di iniziarne una nuova. Legittimo, ma non nella crisi e nello psicodramma della Brexit e di un Regno unito oramai lacerato. Il vero intento è un altro: decimare le sedute parlamentari e far deragliare i tentativi delle opposizioni contro il No Deal, la pericolosa uscita senza accordo di Londra dall’Ue. Ora rimarranno solo una decina di giorni in aula. Pochi per una legge vincolante. Al massimo, ci sarà tempo per una mozione indicativa. Carta straccia per Boris.
Le opposizioni, laburisti e lib-dem in testa, urlano “al golpe costituzionale”. Il Labour di Corbyn promette di occupare il Parlamento e di “resistere, resistere, resistere!”. “Johnson dittatore in miniatura”, urla da Edimburgo la premier scozzese Sturgeon. Una inutile petizione online contro Boris sfonda quota 700mila firme. E poi c’è John Bercow, lo speaker (presidente) della Camera dei Comuni, vecchio nemico di Boris. È una furia: «Questo è oltraggio alla Costituzione per impedire ai deputati di dibattere sulla Brexit. Ma siamo in una democrazia parlamentare!». Bercow, in teoria imparziale, sarà l’ultimo a mollare nell’imminente – e titanico – duello.
Ma Johnson non ci sente. Si è venduto l’anima ai brexiter promettendo ossessivamente che il 31 ottobre si esce dall’Ue, a qualsiasi costo. Nel pomeriggio, mentre la sterlina va a picco e Trump twitta sostegno “per il grande Boris”, Corbyn chiede inutilmente un incontro con la Regina, risucchiata anche lei da questa ameba nazionale che sta divorando ogni certezza. Elisabetta ha bollinato la decisione di Johnson. Teoricamente poteva opporsi ma “per convenzione” deve rispettare le decisioni del premier, altro paradosso britannico. A 93 anni non era tempo di rivoluzioni.
Nei prossimi giorni si scatenerà la guerra politica a Westminster e non solo. Nei tribunali fioccheranno i ricorsi contro la chiusura del Parlamento. Visto che una legge anti No Deal è oramai impossibile, laburisti e opposizioni proveranno a sfiduciare il neonato governo Johnson. Una decina di conservatori europeisti, tra il demonio Corbyn premier ad interim e la democrazia frantumata, potrebbe scegliere il primo. A quel punto saranno nuove elezioni. Ma Johnson ha fatto capire che, pur sfiduciato, potrebbe tirarla per le lunghe e trascinare comunque il Paese nello strapiombo del 31 ottobre. Ieri sera intanto, la leader dei conservatori scozzesi, Ruth Davidson, si è dimessa, in protesta contro Johnson. È la prima, inquietante crepa del Regno di Boris.