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 2019  agosto 29 Giovedì calendario

I settant’anni di Gere


Ci sono due correnti femminili ma anche una Lgbt, per quel che riguarda Richard Gere: inconciliabili e ambedue tendenti all’attempato. Una pensa che lui mai fu più desiderabile come in Pretty Woman, l’altra ancora lacrima se ricorda American Gigol o. Lgbt minorenni e ragazze postadolescenti ne guardano freddamente le foto attuali, un signore anziano che tiene in braccio un piccino colorato su una imbarcazione arrugginita, e solo se sono ecologiste e umanitarie lo trovano di interesse, comunque minimo. Questo sconosciuto, per loro, dai bei capelli bianchi sempre a posto malgrado il vento marino, il 31 agosto compie 70 anni: secondo noi delle due correnti, un ragazzo, però forse per il suo piccino nato da poco dalla moglie spagnola (35 anni, giusto la sua metà) potrebbe essere il bisnonno. Cose di Hollywood, di maschi. A rileggere oggi le trame dei due per noi capolavori, ai tempi loro massacrati dalla critica, persino le sue fan cui la vita ha insegnato che purtroppo il lieto fine non è obbligatorio, hanno dei dubbi. American Gigolo, 1980: affascinante giovanotto palestrato e tutto liscio, con un meraviglioso guardaroba Armani dalle mutande alla cravatta che pensosamente abbina, è un costoso gigolò. Gliene capitano di tutti i colori ma poi l’amore con la signora bella ricca e un po’ più anziana (e questo moltiplicava le spettatrici) trionfa. Pretty woman, 1990: ricco raffinato incontra prostituta da marciapiede così bella per cui non si capisce perché non si era ancora sistemata, l’affitta per una settimana e dopo aver lacrimato insieme alla Traviata, l’amore, ancora una volta, trionfa.
Eravamo sceme? Bidonate? Bruttine? No milionari e no gigolò, ma fidanzati o mariti già noiosissimi? Tra l’altro a rivedere adesso quei film, il milionario quarantenne con qualche capello grigio nella pettinatura- scultura, non è neanche così bello, gli occhietti piccoli piccoli, però allora pareva una fiaba che un uomo facoltoso e rispettoso e gentile pagasse una decina di Chanel, a una prostituta poi; che però era Julia Roberts, allora davvero bella, prima che la bocca le occupasse tutto il viso. E American Gigol o? Certo professione poco raccomandabile e un po’ magrolino, neanche un pelo sul torace, ma i pianti irrefrenabili di puro amore della sala, quando il pappone nero gli dice, «ti abbiamo incastrato come assassino perché ti credi chissà chi, hai pestato i piedi a troppa gente che conta, e di te non importa niente a nessuno».
Inseguendo sempre la sua pettinatura- scultura che ingrigiva eroticamente, non ci si accorse che il celebre sex symbol immaginario intanto conduceva una sua vita anche pericolosa per lui e per le sue adepte; partendo da una elevazione spirituale poco esibita, il nostro beniamino stava franando in politica. Nella serata degli Oscar 1993, mentre venivano premiati il probo Schindler’s List e più che l’attore Tom Hanks, il suo personaggio di moribondo di Aids in Filadelfia, Gere sconvolse il sontuoso pubblico già lacrimante per l’austerità dolorosa dei premi, scartando il testo che gli era stato affibbiato per presentare il vincitore della miglior scenografia (sempre Schindler’s List ), e si era messo a protestare appassionatamente contro l’occupazione cinese del Tibet. Che sinceramente in quella occasione gioiosa c’entrava poco, ma anticipando qualsiasi altra protesta di colori e di generi. Pure una coppia di altri divi del momento, Susan Sarandon e Tim Robbins, aveva difeso i rifugiati haitiani. Tuoni e fulmini hollywoodiani, perché se laggiù la democrazia consente al mondo del cinema di prendersela con i loro governanti (vedi Trump), con il business invece è inesorabile. I tre eroi furono per sempre banditi dal palcoscenico dei premi, del che non fecero una piega, ma Gere fu condannato a pagare più duramente il suo innocente buddismo tibetano e la sua amicizia col venerato Dalai Lama. Da allora, e sono passati 26 anni, gli è proibito entrare nel paese più vendicativo del mondo (vedi D&G), la Cina; ma soprattutto le grandi produzioni americane, le cosiddette majors, l’hanno escluso dai loro programmi in quanto avvertiti dalla Repubblica popolare: se in un film c’è quello là, non può entrare nei nostri territori. Un immenso mercato che non si può perdere.
Non contento, Gere ha fatto dichiarazioni contro la politica israeliana mentre visitava i villaggi palestinesi, ma Israele, altra classe o altra attenzione, non ha neppure brontolato, finanziando il film L’incredibile vita di Norman, prodotto e diretto da israeliani. Poi si sa, adesso ha osato l’inosabile: ha sfidato addirittura due italiani potenti ma oggi dal potere in bilico, un ministro degli Interni e la capa di un partito fascista, salendo su una nave Ong, tra i nemici del nostro popolo. E poi sbarcando a Lampedusa, per accoglierli, dove del resto era già stato un paio d’anni fa sempre per aiutare quelli che lui dice essere «non migranti ma rifugiati». Solita scempiaggine governativa: «Se li porti a casa sua!». E la signora che tutto ignora di tutti: «Perché non va ai confini del Messico a protestare, ha paura di non fare più film milionari?». Lui laggiù c’è già stato e film milionari non glieli fan fare più, appunto per via della Cina.
Negli anni del suo massimo cinesuccesso, prima che il buddismo gli suggerisse tra l’altro che tutti siamo connessi, per cui se qualcuno soffre soffri anche tu e devi quindi aiutarlo, Gere ha guadagnato moltissimo. Molto spende con le sue fondazioni umanitarie, ma anche con la decisione non si sa se buddista o solo liberatoria, di pagare 250 milioni di dollari senza batter ciglio, alla sua seconda ex signora madre del suo primo figlio, per ottenerne il divorzio: e sposare Alejandra Silva, una signora della buona società spagnola e attivista umanitaria che lo ha appena reso padre. E le sue adepte? Si accontentino delle foto mentre fa i selfie (anche lui!) tra migranti sofferenti, con i suoi bei capelli bianchi e il braccialettino buddista al polso, perché poi sarà più facile vederlo con un berretto da pensionato, meravigliosamente non più seducente.