la Repubblica, 29 agosto 2019
Instagram censura l’arte
Noi occidentali siamo davvero dei bei tipi. Ci scandalizziamo per le censure altrui, siano queste cinesi, sovietiche o saudite per poi abbandonarci ad un talebanesimo social e digitale da far ridere i polli.
Facebook o Instagram si comportano per quanto riguarda le immagini con una pruderie da metà Ottocento. Sulle parole invece si è flessibili, forse perché mentre un seno è sempre un seno da qualsiasi parte del mondo tu lo guardi e lo stesso vale per un sedere o un fallo maschile, le parole invece non sempre suonano allo stesso modo in lingue diverse e allora ad esempio su “zingaraccia” si può pure chiudere un occhio perché non vuol proprio dire “Shitty Gipsy” – espressione intollerabile per il politicamente correttissimo, quando fa comodo, universo dei social. Così se non fosse drammaticamente imbarazzante verrebbe da sghignazzare alla notizia che Instagram ha censurato alcune «immagini raffiguranti nudità e porzioni di pelle eccessive» della mostra che si aprirà il 28 settembre a Palazzo Strozzi (Firenze) di Natalia Goncharova, pittrice russa. Immagini delle sue opere, troppo audaci per gli occhi vergini dei milioni di utenti che evidentemente credono ancora che i bambini li portino le cicogne.
Sarà stato forse un inesperto algoritmo o un idiota artificiale a far scattare la censura ma la cosa non è meno grave. Perché se l’inesperto algoritmo o il cretino artificiale passano per sbaglio l’informazione a qualche censore in carne ed ossa in qualche paese con un concetto di democrazia diverso dal nostro, il direttore del museo potrebbe finire a pane ed acqua o mostrato in una piazza pubblica con un cartello al collo che dice «questo succede a chi fa vedere il seno della Goncharova».
Ora a Instagram o Facebook io pongo una domanda: come la mettiamo con gli attributi del David di Firenze che anche a riposo farebbero arrossire Rocco Siffredi? Censuriamo anche quelli? Se il nostro algoritmo e il nostro imbecille artificiale facessero davvero il loro mestiere, dovrebbero mettere un bel cerottone anche sulle pudenda di David. Altrimenti viene l’orribile dubbio che la censura scatti nella testa dell’algoritmo solo quando il nudo è femminile. Al che nasce l’ancor più atroce dubbio che il programmatore di turno sia davvero qualcuno con tendenze talebane e fondamentaliste. Possibile?
Ma torniamo alla povera Goncharova che da chissà quale nuvola nel cielo si stava godendo il successo e la giustizia in una storia dell’arte che fino a non troppo tempo fa era stata solo quasi esclusivamente appannaggio dei maschi. Così mentre si stava pavoneggiando in mezzo alle sue sparute colleghe, Frida Kahlo, Artemisia Gentileschi e magari pure Louise Bourgeois, è stata invece costretta a fare marcia indietro. Umiliata non da qualche curatore o artista macho come gli era accaduto in vita ma da un algoritmo che lei poverina non sa neanche cosa sia.
L’ironia vuole che quando la Goncharova era giovane, una delle esponenti più aggressive dell’avanguardia Russa assieme al marito Mikhail Larionov, le opere che le venivano censurate erano quelle a soggetto religioso e non le nudità. Stiamo parlando del 1912, in Russia. Che il 2019 di Instagram sia più oscurantista è sconcertante.
La domanda che però questo ridicolo episodio ci obbliga a fare è la seguente: di che libertà il nostro mondo sta parlando? Perché ancora un paio di «tette al vento», per dirla alla Guccini (ne L’eskimo ) sono in grado di causare scandalo, quando attorno siamo circondati da una gomorra pornografica alla quale tutti possono avere accesso?
Si ritorna allora alla natura umana dei social. Saranno anche in mano agli algoritmi e all’intelligenza artificiale: ma entrambi sono stati creati da esseri umani che chiaramente hanno schemi da Medioevo. Alle inaugurazioni della Goncharova arrivavano, per controllare, funzionari dello zar o prelati della Chiesa ortodossa: persone, non entità astratte come accade oggi.
La stupidità della censura a qualche foto o dipinto fa sorridere, quello che invece spaventa è l’automatismo di questa censura, l’inafferrabilità del censore, l’idiozia incontrollabile del meccanismo dei social. Ragazzi e ragazze ancora nemmeno sessualmente sviluppati postano sui social immagini di loro stessi che competono con gli annunci che si trovavano nella rivista a luci rosse Le Ore, sapientemente incelofanata. Su questo, nessun algoritmo ha niente da ridire. Mentre invece arrossisce, bloccandolo, davanti a un dipinto creato da una donna a cui i manuali di storia dell’arte dedicano un intero capitolo, senza avvertire che la lettura è vietata ai minori di diciotto anni. Welcome al Torquemada della Sacra Instagrammazione.