Corriere della Sera, 29 agosto 2019
Mentana e le sue maratone
In un’epoca in cui i confini tra la narrazione della realtà e la realtà stessa sono molto labili, anzi molto spesso la narrazione è percepita come realtà; ebbene, in tale contingenza perché non affidare la soluzione della crisi di governo a Enrico Mentana? A questo maratoneta della crisi, a questo fondista della diretta, a questo long-distance runner della trattativa.
Se non ci fosse la «maratona Mentana», summer edition, la crisi sudaticcia sarebbe ancora più buia e gli ostacoli che si frappongono all’intesa ancora più ardui. Mentana si dimostra un vero leader, capace di trasformare i suoi interlocutori in «spalle» ideali, in complici. Arriva in studio Marco Damilano e viene accolto così: «Sullo sfondo potete vedere la brandina che lui utilizza negli studi de La 7…». Myrta Merlino azzarda un «Hai detto una cosa interessante» e lui la fulmina di rimando: «Perché le altre no?».
Se qualche politico si nasconde dietro il solito «fraintendimento dei giornalisti» viene subito smascherato. Se il ridanciano senatore Massimiliano Romeo si ferma a lungo, tentando di fare lo spiritoso (o dire banalità del genere «la gente mi ferma per strada e mi dice…»), viene sapientemente catturato nel vortice del grottesco che in altri tempi gli sarebbe costata la reputazione. «C’è qualcosa da dire su Grasso?», chiede continuamente Mentana. E non si sa mai se si riferisca a Giovanni, portavoce del Quirinale, o a Pietro, ex presidente del Senato, ora speranzoso di un incarico.
La logica della «maratona Mentana» è che si può dire tutto e il contrario di tutto, altrimenti sarebbe impossibile affrontare così tante ore di tv. I suoi ospiti fissi – la sua compagnia di giro – sono acrobati sul filo della parola e poco servono le puntuali precisazioni della brava Alessandra Sardoni. Tra maratoneti, pedagoghi indignati, la conversazione è scambio continuo di detti e contraddetti.