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 2019  agosto 29 Giovedì calendario

Intervista a Raz Degan

Raz Degan, l’ultimo programma sulla televisione generalista è stato «l’Isola dei famosi», vinto nel 2017. Dove è stato da allora?
«A coltivare, innaffiare, gioire, inspirare ed espirare, vivere e creare. Ora sto rispondendo dal tetto del mio trullo in Puglia. Il telefono prende male, ma la vera ricchezza non è avere WiFi, 5G, 4G. La gente con tutti questi cavolo di G ammetterà mai di non essere davvero connesso a niente?».
A giudicare dal suo profilo su Instagram, è perennemente impegnato in viaggi avventurosi.
«Sono stato in più di 120 Paesi e non troverà un solo selfie con la faccia di tre quarti che sembra una melanzana. Viaggio perché non posso stare fermo. Per portare al mondo il mio film del 2016 L’ultimo sciamano, sono stato in Amazzonia per cinque anni di incubo totale».
Perché «incubo»?
«Tutti vedono che è stato su Sky e in America su Netflix o che l’ha coprodotto Leonardo DiCaprio, ma nessuno immagina che, per farlo, sono stato vicino alla morte, alla depressione, alla stregoneria, ai piranha, a pazzi che si credono sciamani capaci di guarire il mondo. Ma uno sciamano vero, Pepe, l’ho trovato. È stato un viaggio e la destinazione finale ancora non la so. La ricerca è questo: conoscersi, superare i propri limiti, entrare in contatto con se stessi».
Cosa l’ha portata laggiù?
«Un viaggio precedente. Mi ero rotto di lavorare a contenuti banali, avevo capito che stare comodo è una sconfitta e cercavo qualcosa, non sapevo cosa. Nel 2010, facevo a piedi la via della Seta e, in un villaggio sperduto fra Nepal e Tibet, mi venne la polmonite. Pensavo sarei morto, feci testamento lasciando il trullo a una fondazione sugli squali».
Tuttavia, non morì.
«Trovai le forze per andare in aereo a Goa, da una sciamana che curava con l’Ayahuasca. Dopo un giorno di infusi, correvo già sulla spiaggia. A quel punto, decisi di partire per scoprire i poteri di quella pianta. Poi, ci ho costruito un film, portando con me James Freeman, un giovane americano con una depressione grave e disposto a un’ultima impresa disperata per salvarsi».
James si è salvato?
«Sta divinamente, si è laureato. Io mi sto dedicando a un film su un personaggio partito negli anni 60 per cercare il Nirvana e a una serie tv sulle scelte strane che la gente fa per trovare Dio».
Alla fine, ha scoperto che l’Ayahuasca ci salverà?
«Ho scoperto che ne bevono più a Los Angeles che in Amazzonia, ma che se lo bevi circondato da ego ed elettricità, e non bevi anche la saggezza della cerimonia sciamanica portandola nel quotidiano, non serve a niente».
Com’è stato lavorare con DiCaprio?
«È uno che cerca la verità e cose che rendono questo mondo migliore».
Quanti no ha detto alla tv tradizionale?
«Dire certi no ti rende più forte: più lo fai, più capisci che viviamo in un mondo virtuale. Auguro a tutti i giovani di saper staccare il telefono per piantare un albero o dei pomodori».
Perché andò all’«Isola dei famosi»?
«Per soldi: mia madre era malata. Laggiù ho incontrato molta ignoranza, i paguri hanno più dignità, però la natura era un regalo che mi ha caricato nell’anima».
Dopo, per Sky, ha girato documentari fra le tribù di Etiopia, Sumatra e Papua Occidentale. Che ha trovato fra gli indigeni?
«Verità, sincerità e voglia di mandare a quel paese chi mette a rischio di estinzione gente senza la quale non possiamo ricordarci da dove veniamo».
Lei è stato diretto, fra gli altri, da Oliver Stone, Ermanno Olmi, Robert Altman: fare l’attore non le manca?
«Sono stato diretto da quelli bravi e da quelli idioti, che sanno chi sono, perché gliel’ho detto. Presto, però, forse, torno a recitare: mi hanno offerto un personaggio bello. Nel frattempo, sto montando un corto per l’amaro Jägermeister, a 25 anni dallo spot che mi rese famoso e avendo ormai 50 anni. Ne sono direttore creativo e regista, oltre che protagonista».
La celebre battuta «sono fatti miei» avrà un sequel?
«Sarà una sorpresa, è un prodotto innovativo, una storia sull’essenza della vita».
E in 25 anni che cosa ha capito sull’essenza della vita?
«Che ognuno deve creare il suo paradiso. E che, aldilà della pioggia e delle nuvole, il sole c’è sempre».