ItaliaOggi, 28 agosto 2019
Periscopio
Sono riservato. Non mi piacciono quelli che si mettono in mostra. Massimo Bordin, ex curatore della rassegna stampa di radio radicale (Francesco Merlo). il Venerdì.Come mi sembrano i tg oggi? Mi annoiano. Però il Tg2 di Sangiuliano ha personalità. Francesco Storace, direttore del Secolo d’Italia (Concetto Vecchio). il Venerdì.
Renzi doveva nominare il «ministro» degli Esteri europeo. Ma non volle che, in quel ruolo, ci andasse D’Alema. Io gli avrei detto: «Ma sei scemo? D’Alema accontentato, D’Alema alleato». Massimo Cacciari, filosofo. (Claudio Sabelli Fioretti). Il Venerdì.
La mia era una famiglia modesta e molto unita: mio padre faceva il ferroviere, mia mamma la sarta. Ero un maschiaccio, il capobanda dei miei amici. Mara Venier (Michela Proietti). Corsera.
Davigo ebbe il suo primo lavoro in Confindustria, all’Unione industriale di Torino. Si occupava di relazioni sindacali. «Stavo dalla parte del padrone», ha raccontato, «perciò, quando sento parlare di “toghe rosse”, mi viene da sorridere». Una volta, dopo una dura trattativa, apparve sul muro di una fabbrica: «Davigo fascista, sei il primo della lista». Non era vita. Si buttò sui libri, perse qualche diottria, inforcò gli occhiali e vinse il concorso in magistratura. Giancarlo Perna, saggista politico. La Verità.
Sono cattocomunista. Tutte le mattine alle 7.15 sono a messa nella chiesa di Santa Maria in Via. Nella cappella della Camera ci andava solo Rocco Buttiglione. Pasquale Laurito, direttore de la Velina Rossa (Stefano Lorenzetto, scrittore). Corsera.
La globalizzazione è sconfitta nella sua configurazione ideologica. La prima globalizzazione, quella del 500, fu furiosa, politica non ideologica. Portata da una serie di fattori come polvere da sparo, arte della stampa e bussola. Quella più recente è stata almeno al principio pacifica e ideologica. Era la combinazione di varie logiche. C’era l`idea di costruire fabbriche in Asia, ma anche quella di migliorare il mondo. Di unirlo in un`unica geografia mercantile piana. È la Fine della Storia di Francis Fukuyama. Alla fine, invece, la storia è tornata con gli interessi. Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia. (Antonio Signorini). Il Giornale.
Non credo nella pace ma credo nella partnership: vivere insieme, sotto lo stesso tetto, sotto un unico cielo. Per decenni mi sono battuto, accanto al mio fraterno amico Amos Oz, per un’idea affascinante: due popoli, due Stati. Ora non ci credo più. Penso che saremo uno Stato solo, ma non uno Stato ebraico: aperto ai palestinesi, compresi quelli della Cisgiordania. Ho litigato con Amos per questo. Abraham Yehoshua, scrittore israeliano (Aldo Cazzullo). Corsera.
Noi israeliani diamo un’importanza eccezionale alla sicurezza, spendendoci tanto a scapito di altri settori, dall’istruzione al sociale. Per noi la sicurezza è un problema reale, perché si può essere attaccati da fuori o da qualcuno che si fa esplodere in casa tua. Il guaio è che troppi nostri politici la usano per le tangenti o per la corruzione, nel senso di dire «ma scusate, col nemico che ci minaccia andate a pensare ai sigari gratis o ai contratti di appalto che favoriscono il mio alleato?». Negli ultimi dieci anni l’interesse principale di tanti politici israeliani è stato arricchirsi con le tangenti, dirette o indirette. Per la sicurezza Israele è disposta a spingersi lontanissimo. Non stiamo parlando tanto di un dogma, quanto di una religione. Come disse John Le Carré, «i servizi segreti sono la sola reale espressione dell’inconscio di un Paese». Dav Alfon, romanziere israeliano, autore di Sarà una lunga notte (Giancarlo De Cataldo). la Repubblica.
Ha messo in movimento il mio desiderio di parlare dei miei nonni armeni, un poeta: Daniel Varujan. Fu sequestrato, imprigionato, torturato e poi ucciso nell’agosto del 1915. Le milizie turche lo legarono a un albero e lo scuoiarono. Nella tasca della giacca gli fu trovato il libro delle sue poesie: Il canto del pane. Un’ode alla terra e al cielo, alla natura e a coloro che l’amano e la rispettano. Traducendole pensai al sacrificio di quell’uomo, all’oltraggio che lui e migliaia come lui avevano subito, e mi sono ricordata delle storie di mio nonno che si chiamava Yerwant Arslanian. Partì quindicenne dalla piccola città di Kharpert, nel centro dell’Anatolia, e arrivò a Venezia. Il padre lo spedì a studiare nel collegio armeno sull’isola di San Lazzaro. Qui finì il liceo, poi si trasferì a Padova alla facoltà di medicina e in seguito a Parigi per perfezionarsi in chirurgia. Vi stette per quattro anni. Conobbe Charcot, neuroscienziato e studioso di fenomeni legati all’isteria. Sebbene ne fosse attratto, alla fine scelse di occuparsi di chirurgia dell’orecchio e della gola. Diventando un eccellente specialista. Antonia Arslan, autrice di La masseria delle allodole. (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Ho provato tenerezza nei confronti di Peter, il soldato inglese, e di Corrado che giocava a calcio e mi baciò. Rileggendo l’episodio nel libro, mi pare di averlo raccontato quasi da innamorato: l’immagine di lui che parava come un angelo, un po’ alla Testori. Chissà, forse, in quegli anni, ho sfiorato l’omosessualità, amicizie che potevano sfociare in qualcos’altro, ma poi c’era la famiglia. Umberto Orsini, attore. (Anna Bandettini). la Repubblica.
Per assumere uno straniero, il datore di lavoro rumeno deve dimostrare di non aver trovato rumeni ed europei disponibili o adatti per il posto in questione. Una procedura rigida, costosa e di durata variabile, dai tre ai sei mesi. Prima i rumeni, insomma. Ammesso che ve ne siano. Dinanzi alla carenza di manodopera si è cercato anche di mettere a punto delle iniziative per riportare in patria i lavoratori della diaspora. Una mossa che ha avuto però scarsi risultati e che ha costretto il governo ad allentare i vincoli sull’importazione di manodopera. Così per l’anno in corso sono state innalzate a 13.500 unità le quote degli extra-comunitari che possono essere assunti. Il governo ha poi firmato due accordi con il Vietnam per rendere più agevoli le assunzioni nel Paese. Alessandra Briganti, il Venerdì.
Ecco che nasce l’aggettivo «amadiano», dallo scrittore Jerge Amado, un universo «contagioso, erotico, violento, pieno di colori e di sorprese», scrive Alfred Knopf, che nel’62 porta il romanzo tra i dieci più venduti nella classifica del New York Times. Anche in patria vende tantissimo, sebbene una parte della critica continui a stroncarlo («banale», «folclore», «pettegolezzo da bar»). Alberto Riva. il Venerdì.
Ieri sembra oggi. Ma sembra anche la preistoria. Roberto Gervaso. Messaggero.