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 2019  agosto 28 Mercoledì calendario

Tutto quello che c’è da sapere sugli animali in un atlante

Wimbledonx
Che cosa fanno gli animali quando non li guardiamo? Tante persone hanno installato telecamere in casa per monitorare le abitudini dei loro cani e dei loro gatti, e forse fra tutti questo è l’unico reality vero, così attraente che su questo tema è nata anche una serie fortunata di film a cartoni animati, Pets. Ma che fare con quelli selvatici, di cui l’uomo interseca, infastidisce, a volte distrugge le abitudini? La Terra, pensando alle scale dell’astronomia, è in sé una casa piuttosto piccola, e sul piano umano rimpicciolisce di più mano a mano che, grazie ai mezzi di trasporto e di comunicazione, le distanze fra noi si riducono: la quantità di spazio che ci divide gli uni dagli altri dipende dal tempo che serve per coprirla, e quindi dalla tecnologia. Il nostro rapporto con gli animali presenta lo stesso problema, per questo il mondo non-umano è rimasto per secoli misterioso, generatore di miti e di timori, bacino buono per la cacciagione e fabbrica di pericoli. Della maggior parte delle specie con la quelli condividiamo il mondo non sappiamo neppure che esistono, molte di quelle che conosciamo vivono nascoste, o battono percorsi che fino a pochi decenni fa non potevamo seguire. Erano alieni. MAPPARE IL MONDO Di certo, saremmo meno orgogliosi dei nostri aeroplani se avessimo saputo prima che mentre possiamo attraversare un Oceano volando, le sterne acquatiche migrano ogni anno coprendo a forza di ali una tratta per qualsiasi aereo impercorribile, lunga 70mila chilometri. Questa è una delle cinquanta storie, corredate di mappe tracciate con rotte, grafici e numeri straordinari, raccolte nel volume L’atlante della vita selvaggia (Mondadori, 171 pp., 26 euro): un volume redatto non da due biologi, ma da un cartografo specializzato nell’elaborazione dati, James Cheshire, e Oliver Uberti, già direttore grafico del National Geographic, che hanno raccolto le scoperte in giro per il mondo di un vario numero di etologi, biologi e altri scienziati e hanno riproposto in versione grafica e mappata il senso dei loro studi, trasformandoli in meravigliosi sentieri e camminamenti in terra, in acqua e in aria. Il libro, quindi, ha due protagonisti, il mondo animale e la tecnologia dedicata alla localizzazione, cioè l’antico “seguire delle impronte” proseguito con altri mezzi: i primi tentativi risalgono all’inizio dell’Ottocento, quando John James Audubon legò dei fili colorati alle zampe dei passeri per verificare se fossero gli stessi a tornare alla sua fattoria ogni primavera, sono proseguiti a inizio Novecento quando un farmacista tedesco riuscì da applicare delle piccole macchine fotografiche automatiche a dei piccioni per documentarne i voli, nel 1962 scienziati dell’Illinois attaccarono una ricetrasmittente a un’anatra con dello scotch e così via. Oggi ci sono a disposizione satelliti, droni, telecamere nascoste che si accendono in presenza di movimento, reti cellulari e accelerometri e una capacità di elaborazione dei dati mai conosciuta in precedenza. Sono occhi discreti, che consentono di studiare osservando la regola d’oro degli zoologi, non interferire, non interagire, non farsi vedere dagli animali che stanno studiando. impronte digitali Le storie riportate dai due autori riguardano le impronte “digitali” (nel senso di elettronico) di animali di qualunque dimensione: quelle dei puma della California, per esempio, che, amanti delle grandi distanze, sono invece isolati in “riserve” involontarie, delimitate dalle strade statali che i felini non attraversano per timidezza. Quando uno di essi si spinse oltre, due settimane dopo venne ucciso a fucilate per aver preso d’assalto il bestiame di alcune fattorie. O quelle di elefanti, muniti di collare gps, che da un parco protetto del Kenya si spingevano, ovviamente senza saperlo, oltre il confine con la Tanzania, finendo preda dei cacciatori, finché, grazie a questa scoperta, il governo del secondo Paese non vietò la caccia in quella zona. Oppure la incredibile vita da impiegati delle formiche: una ricercatrice, Danielle Mersch, ha trovano il modo di incollare sugli esemplari di una colonia dei microscopici codici e barre, scoprendo che nelle tre “classi lavoratrici” – le infermiere che accudiscono la regina, le pulitrici che mantengono l’igiene del formicaio, le raccoglitrici che vanno in cerca di cibo – è possibile avanzare in scala gerarchica, avendo osservato che alcune infermiere venivano promosse pulitrici e alcune pulitrici diventavano raccoglitrici. Altre scoperte riguardano le zebre, che migrano sempre per la stessa strada anche se non l’hanno mai vista prima, i fringuelli che sentono le vibrazioni delle tempeste in arrivo a centinaia di chilometri di distanza. E infine la democrazia dei babbuini: quando non sono d’accordo su che direzione prendere se il disaccordo è modesto, cercano un compromesso; se è forte decide la maggioranza. E loro, ripetiamo, sono babbuini.