Corriere della Sera, 28 agosto 2019
Intervista a Giorgio Cantarini, il bimbo de La vita è bella
A cinque anni, Giorgio Cantarini girava «La vita è bella» di Roberto Benigni, che vincerà tre Oscar e a lui porterà, unico italiano di sempre, lo Young Artist Award, «l’Oscar dei bambini».
A otto anni, faceva il figlio di Russell Crowe nel «Gladiatore» di Ridley Scott da cinque Oscar. Quel bimbo cresciuto a Montefiascone, provincia di Viterbo, casa con l’aia e le galline, papà psichiatra, mamma ostetrica, due fratelli maggiori, due sorelle minori, un provino fatto per gioco, oggi è un giovane uomo di ventisette anni prossimo a lasciare l’Italia.
Giorgio, che cosa ha fatto in questi anni?
«Fino ai diciotto, volevo diventare calciatore, il cinema era qualcosa che mi era piaciuto, però poteva anche finire lì. Poi, dopo il liceo, su consiglio di Benigni, col quale sono sempre rimasto in contatto e che ancora mi invita alle prime o a prendere un gelato, ho tentato il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Mi hanno preso e mi sono diplomato nel 2014».
Cosa le aveva fatto cambiare idea?
«Il cinema era una passione, ma solo da spettatore. Però, quando all’ultimo anno di liceo mi assegnarono una presentazione di greco in forma libera, decisi di girare un corto. È stato il mio unico 10 in greco e mi ha fatto capire che il set era il posto in cui stavo bene».
Uno immagina che il bimbo de «La Vita è bella» cresce, si diploma attore e tutti lo vogliono. È andata così?
«Non esattamente. I casting director mi conoscevano, ma avevano sempre l’idea di me piccolo. E io cerco di evitare il mainstream e di fare provini solo per lavori di qualità. Ho avuto un piccolo ruolo in “Lamborghini The Legend” di Bobby Moresco, con Antonio Banderas e Alec Baldwin, che è in post produzione, ed è stato bello tornare su un grande set in costume. Col mio amico Miguel Angel Gobbo Diaz, ho portato in teatro “Il Calapranzi” di Harold Pinter. Poi, ho girato da protagonista la web-serie Rai, “Aus – Adotta uno studente”, e ad aprile, a Berlino, la puntata pilota di una serie, “Flatmates”, che mi somiglia molto».
In cosa le somiglia?
«Faccio un pittore italiano che si trasferisce lì, ma che per mantenersi fa il rider e che deve trovare un appartamento in condivisione e incontra situazioni strambe: appartamenti solo vegani o solo gay o solo di gente sessualmente aperta... La storia rispecchia la precarietà della mia generazione e me stesso, in partenza in cerca di fortuna: a settembre, mi trasferirò a New York».
Sogna Hollywood?
«Due anni fa ho studiato un mese alla New York Film Academy e mi sono trovato benissimo. Ho già dei contatti, anche con un produttore e un regista americani coi quali, sempre a Berlino, ho interpretato un corto ispirato alla Divina Commedia. Il mio sogno è lavorare in Italia, in tutti i continenti e i Paesi. Per esempio, sento che la Francia, per me, non è una pagina chiusa: ho passato il 2015 a Parigi, ho imparato la lingua, mi sono fatto conoscere».
Perché Parigi?
«Avevo accompagnato la mia fidanzata che studiava al Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique. Si chiama Marial Bajma-Riva, è una bravissima attrice, italiana: ha appena vinto il Premio come miglior giovane interprete delle rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa».
Intervistato da bambino, le chiedevano delle fidanzate e lei rispondeva «troppe ne ho».
«Ero un piccolo, innocente, dongiovanni. Ora, apprezzo le relazioni importanti. Con Marial sto da cinque anni e ho sperimentato anche scrittura e regia, girando due corti, “La regina dei salotti” e un piccolo fantasy a budget zero, mentre eravamo in vacanza in Grecia. È la storia di un pescatore fuori dal tempo, che ha un colpo di fulmine per una turista, è timido, fallisce ogni tentativo di farsi notare, poi, lei sparisce, lui la cerca ovunque. E quando torna sul molo, la trova lì, che l’aveva aspettato per tutto quel tempo».
Ne deduco che è un romantico.
«Mi piace lo spirito magico della vita».
Quando Enzo Biagi chiese a Benigni cosa le augurava, lui rispose citando Kant «di tenere il cielo stellato sopra di sé e la legge morale dentro di sé». Ci è riuscito?
«Non me lo ricordavo, ma se dovessi dare di me una definizione poetica, probabilmente, si avvicinerebbe a questa».