Corriere della Sera, 28 agosto 2019
Il nipote bipolare di Kim Rossi Stuart è in carcere. La madre chiede che venga spostato in una Rems per essere curato
«Mio figlio è bipolare, non deve stare in carcere ma nelle strutture psichiatriche preposte, che però sono tutte piene». Il grido di allarme è di Loretta Rossi Stuart, attrice e scrittrice, sorella del più noto Kim, protagonista di cult come Romanzo Criminale e Vallanzasca.
La sua è la denuncia di una madre disperata, che teme per l’incolumità del suo «pugile buono», il figlio Giacomo Seydou Sy, detenuto a Rebibbia a Roma: per la sua diagnosi psichiatrica però dovrebbe essere ricoverato in una «Rems», Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza per persone con disturbi mentali. Una storia che fa emergere una criticità nazionale per questi luoghi di cura, super-affollati e con liste di attesa molto lunghe. Così un cittadino che commette un reato, ma risulta «incapace di intendere e volere», rischia di restare dietro le sbarre per mesi. O anche di più. Al nipote di Kim Rossi Stuart, ad esempio, è stata riscontrato il «bipolarismo», patologia mentale che lo rende «inadatto» alla prigione.
Ma non è il solo detenuto che attende invano di avere cure appropriate e di lasciare la cella. Seicento i posti riservati nelle Rems a soggetti con disturbi di natura psichiatrica in tutta Italia, ma in 200 aspettano di potervi accedere. Nel Lazio in particolare, la Regione dove Giacomo è detenuto, c’è un sesto dei letti nazionali a disposizione: 91 posti a fronte di 43 costretti in un limbo. «Mio figlio è esasperato, è come una bomba pronta a esplodere – racconta Loretta —. Resiste ma è consapevole che il carcere non è il suo posto. Ha dei sogni, vuole fare il pugile alle Olimpiadi. Può essere recuperato, ma solo se curato come merita». Problemi con la droga che «peggiorano la sua condizione», spiega la madre, una dipendenza che lo ha condotto alla prima condanna per resistenza a pubblico ufficiale. Poi il furto che lo ha riportato in cella: a maggio, però, in appello i giudici hanno revocato gli arresti e al ragazzo resta solo un anno di Rems da scontare. «Il problema è che persone come Giacomo rimangono in prigione più per prassi, per mancanza di alternative che per altri motivi», spiega il legale di Seydou, Giancarlo Di Rosa: un «vuoto legislativo», in pratica, che non indica un limite massimo di attesa per il trasferimento in strutture sanitarie.
«Se la pena è terminata, questi cittadini dovrebbero tornare in libertà», sottolinea Stefano Anastasia, Garante dei diritti delle persone private della libertà del Lazio. Stessa linea per il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, che parla della necessità di «aumentare le Rems presenti sul territorio»; pochi posti e troppe domande, anche perché «in molti casi – aggiunge – le strutture vengono concesse a chi è costretto a misure di sicurezza provvisorie e non a chi dispone di misure di sicurezza definitive». Un problema «drammatico, terrificante» quello delle attese infinte secondo Massimo Di Giannantonio, presidente della Sip (Società italiana di psichiatria): «Ho un ragazzo nelle stesse condizioni di Giacomo, ha le indicazioni per andare in una Residenza, ma da 19 mesi è ricoverato in un reparto di psichiatria in ospedale».