Corriere della Sera, 28 agosto 2019
Il caffè di Gramellini
Chissà come si sente, in questi giorni di trasmutamenti fulminei, un democristiano di antico fusto come Mattarella, che ha visto il suo partito metterci quasi vent’anni per passare dall’alleanza coi liberali a quella coi socialisti, e altri quindici – conditi da congressi infiniti e relazioni sfinenti – per portare il Pci sull’uscio del governo. Era anche quella una politica sporca e cattiva, come sempre è il commercio degli uomini, però basata sulle ideologie, sull’onda lunga e profonda dei sentimenti. Poi l’era social ha sostituito i sentimenti con le emozioni e le ideologie con i tweet, e il destino ha voluto che quest’uomo si trovasse proprio adesso al Quirinale, dove sembra un preside di Oxford spedito in una comunità di adolescenti problematici. I suoi maestri gli hanno insegnato che la politica è l’arte del possibile, ma qui siamo ai confini dell’impossibile, con centinaia di manine grilline che ad agosto hanno schiacciato il pulsante verde per approvare il decreto sicurezza e a settembre schiacceranno quello rosso per abrogarlo.
Ormai nulla può stupirlo. Magari domani Renzi e Salvini gli proporranno il governo Mattei, che accoglie i gommoni nei giorni dispari e li affonda in quelli pari. E dopodomani il Conte ter, con D’Alema-La Russa vice e Toninelli concentratissimo agli Esteri. Per il bene del Paese, dicono sempre tutti così. E al bene di Mattarella, chi ci pensa? Lo immagino chiudere gli occhi, sperando di svegliarsi dall’incubo. Ma poi li riapre e Di Maio è ancora lì.