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 2019  agosto 28 Mercoledì calendario

Se gli aspiranti presidi sono dei somari

Domenica scorsa leggo su Repubblica tre lettere di altrettanti aspiranti dirigenti scolastici cui non è riuscito di superare il recente concorsone. A Marianna Bove, che all’orale ha preso 65, è andata particolarmente male: è incappata nella “peggiore commissione” possibile, scrive la sfortunata candidata, la famigerata Commissione Sardegna (la trentesima), perché, così risulterebbe agli atti, la più spietata di tutte. La Commissione avrebbe fatto strage di molti che, bocciati ingiustamente, farebbero ora legittimo strame dei suoi colpevoli membri. A cominciare da quel cattivone del Presidente.
A presiedere quella Commissione c’ero io. Nel corso della mia carriera non mi è mai capitato di trovarmi di fronte a candidati a un concorso così importante che fossero tanto deboli, sprovveduti o impreparati come quelli, purtroppo numerosi, cui abbiamo dovuto negare l’accesso al ruolo di presidi. Alcune eccellenze non sono mancate, soprattutto fra gli aspiranti più giovani, ma fra chi ha dichiarato di non conoscere nulla della lingua straniera scelta, e chi non sapeva cosa stesse scrivendo o dicendo mentre parlava o scriveva, non abbiamo talora saputo dove metter le mani. In alcuni casi – i compiti sono lì, disponibili per futuri collettori di castronerie – non abbiamo creduto ai nostri occhi.
C’è chi, durante la prova orale, gesticolava in modo esagerato (o, in qualche caso, senza alcun controllo) come dovesse esibirsi su un palco, senza saperlo fare, anziché affrontare un esame; chi ha sbagliato i congiuntivi; chi non è stato in grado di calcolare una percentuale o di riconoscere un semplice simbolo di radice quadrata (né gli è tantomeno riuscito di dargli un nome); chi non aveva la più pallida idea di cosa fosse una tabulazione, uno sciopero bianco o una serrata; chi si ostinava a parlare di una docente, sebbene nel quesito estratto ci si riferisse a un docente, perché nella sua testa, evidentemente, non riusciva a concepire che nella scuola dell’infanzia potessero insegnare anche uomini.
Ho sentito parlare un inglese sgangherato che non ha nulla da invidiare al latino maccheronico in voga fra Quattro e Cinquecento; ho sentito leggere in un francese comico, da Totò con Peppino in quel di Milano (noio volevam savuar…); ho sentito candidati che, nel tradurre dalla lingua straniera all’italiano, saltavano le parole che non conoscevano, come fanno infantilmente tanti nostri studenti per sfangarla a un’interrogazione o a un esame, e altri che traducevano a prescindere (senza capire un’acca di quel che stavano leggendo) per dare l’impressione a chi li stava ascoltando che stavano almeno parlando; ho letto risposte ai vari quesiti prive di una capacità logica anche minima, che andasse oltre la semplice giustapposizione di un argomento all’altro generatrice di discorsi senza capo né coda; ho sofferto in presenza di tanti esaminandi che si arrampicavano sugli specchi per dimostrare l’indimostrabile con un linguaggio surreale, sospeso ed eternamente inconcludente e, non di rado, infarcito di un burocratese brancaleonesco o incomprensibile. Altro che lo stile “metaforico” ed “evocativo” cui sarei abituato io, e che avrei usato come metro di giudizio per la correzione del quesito sulla correttezza logico-formale, secondo un altro aspirante preside assegnato alla mia commissione che non ce l’ha fatta a superare lo scritto. Un preside mancato e disinformato secondo il quale (Concorso dirigenti scolastici: il raglio dei somari della commissione 30, www.tecnicadellascuola.it, 7 agosto 2019) avremmo ammesso all’orale solo il 9% dei candidati. Saremo anche stati severi, per le prove scritte ancor più che per quelle orali (97 interrogati e 62 promossi, il 63,92%), ma da 50 ammessi all’orale su 246 candidati esaminati si ottiene una percentuale del 20,33%.
Il 6 giugno abbiamo esaminato la deputata M5S Lucia Azzolina, che è anche fra i membri della commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera. La parlamentare aveva dichiarato poco prima della sua prova orale, a chi l’aveva intervistata per l’"Espresso” (2 giugno 2019): «Sarebbe bello se l’orale fosse anonimo, perché la verità è che dovrò studiare il doppio rispetto agli altri. E questo non le nascondo che mi crea molta ansia». Alla fine l’onorevole se l’è cavata, perché ha studiato quel tanto che le è bastato. Prova d’informatica a parte. Qui si è meritata uno zero al pari di altri aspiranti presidi che, come lei, si sono rivelati in materia degli analfabeti totali.