Il Messaggero, 27 agosto 2019
I nemici del punto e virgola
«Siamo costretti a rivelare che il punto e virgola ha dei nemici. In questo mondo non c’è pace per nessuno. E quei nemici sono feroci a tal segno che vorrebbero morto e sepolto il povero punto e virgola». Se ne rammaricava in un saggio sull’interpunzione manzoniana, nel lontano 1939, l’erudito ravennate Piero Zama. Cinque anni prima Angelo Barile, in un redazionale scritto per una rivista di poesia (Circoli), aveva preso spunto da un disegno di Leo Longanesi per rovesciarne il senso. Il disegno con riferimento alla lingua francese raffigurava una virgola sul letto di morte. Con la moribonda, in attesa del decesso, c’era il punto e virgola, e il poeta savonese aveva invertito i due ruoli e fatto agonizzare quest’ultimo: «Amore di Leopardi, croce e delizia dei nostri scrittori di frammento, il punto e virgola cede terreno. Salutiamolo con molto rispetto ma senza troppo rimpianto».
GLI AUTORI
Henry James lo apprezzava, e per Herman Melville era una tecnica di digressione (per rallentare il tempo narrativo, così da distrarre il lettore dai contenuti realistici che in quel momento poteva immaginare gli scorressero davanti), ma sono stati tanti ad averlo snobbato, disprezzato, aborrito, maledetto. George Orwell non lo sopportava; Kurt Vonnegut esortò a sbarazzarsene perché inutile (l’unica sua funzione, scrisse in un saggio confluito in una raccolta del 2005, è di «mostrare che sei andato al college»); Cormac McCarthy, minimalista convinto (e, anche per questo, seguace dichiarato di James Joyce), non ne fa uso perché l’eccesso di segni di punteggiatura paralizza la pagina. È solo un assaggio di quel che potrebbe riservare la lettura di un volume fresco di stampa, impetuoso ed effervescente: Semicolon. How a Misunderstood Punctuation Mark Can Improve Your Writing, Enrich Your Reading and Even Change Your Life, 4th Estate). L’autrice, Cecelia Watson, storica e filosofa della scienza, insegna discipline umanistiche al Bard College dello Stato di New York, dove tiene anche corsi di scrittura.
PLATONICI
«Il punto e virgola mi è diventato così odioso da sentirmi quasi moralmente compromesso quando lo uso». L’affermazione è in un articolo firmato per il The New Republic (26 aprile 1980) da Paul Robinson, al tempo anche lui docente di Humanities (Stanford University) e ora emerito. Nell’interpunzione, contro i platonici che tentano di utilizzarla a orecchio, piegandola allo scopo di trasferire sulla pagina scritta ritmi e pause del parlato, il professore americano si proclamava perentoriamente aristotelico, salvo poi però giudicare pretenzioso e iperaccademico proprio quel punto e virgola che si adatta in realtà più al freddo e impersonale Aristotele che al polemista e passionale Platone. Per Robinson i segni di punteggiatura dovevano essere l’espressione invisibile di una linearità e una chiarezza portatrici di risposte emotive, la cui assenza avrebbe spiegato gli errori interpuntivi commessi dalla maggior parte degli scrittori. Accarezzando l’idea della stesura di un saggio scandito solo dai punti e dalle virgole, nei confronti dei quali confessava di nutrire un’autentica passione, smisurata per i primi (meno ambigui delle seconde, che riteneva comunque sottoutilizzate), lo studioso americano non si limitava a dichiarare la sua avversione per il punto e virgola: i due punti rimedierebbero alla debolezza o all’approssimazione di una connessione logica; parentesi e trattini sono sconfitte sintattiche, per l’incapacità che attestano di un’espressione lineare del proprio pensiero (ancor più micidiali le note a piè di pagina, epifania di una mente a brandelli); le virgolette sono la manifestazione di un distanziamento da parole ed espressioni (usate, sì, ma con le debite distanze) frutto di un atteggiamento snob o aristocratico; il corsivo è spesso un’offesa all’intelligenza dei lettori.
TEMPI COMPLESSI
Quanto al punto interrogativo e a quello esclamativo, continuava Robinson, versano come la virgola in una condizione di sofferenza per il loro scarso uso: il primo per la tendenza a farsi sempre meno domande (in molti casi sarebbero retoriche, in altri apparirebbero pericolosamente inquisitorie), il secondo per l’obsolescenza di toni infantilmente meravigliati in tempi raziocinanti, complessi, sofisticati (Internet e i social erano ancora di là da venire).
Oggi il punto e virgola non è certo epidemico come parve a Paul Robinson, e sembra anzi essere nuovamente prossimo alla dipartita. Al suo capezzale, in trepidante attesa, c’è il punto fermo. Robinson pensò potesse subentrargli per più della metà dei casi (a un altro buon quarto di sostituzioni avrebbe provveduto la virgola), con buona pace di Pietro Bembo e Aldo Manuzio. Il punto e virgola, insieme all’apostrofo (e alla virgola e al punto interrogativo nella loro foggia moderna), è comparso per la prima volta in un’aldina. Conteneva il De Aetna (1496; stile veneto: 1495), un dialogo del celebrato autore delle Prose della volgar lingua (1525) che, a leggere il pezzo dell’umanista americano, avrebbe fatto fuoco e fiamme.