Corriere della Sera, 27 agosto 2019
Oppioidi, Johnson & Johnson è colpevole. Pagherà 572 milioni per la crisi sanitaria in Oklahoma
New York. È una sentenza destinata a fare storia, e prima ancora scuola in tutti gli Stati Uniti dove stanno per partire migliaia di cause come questa. Un giudice del Cleveland County District, Thad Balkman, ha condannato la multinazionale Johnson & Johnson al pagamento di 572 milioni di dollari, ritenendola responsabile di aver contribuito all’esplosione dell’epidemia di oppioidi dello Stato, descritta dal procuratore come «la più grande crisi sanitaria mai affrontata dall’Oklahoma».
Una piaga che tocca tutti gli Stati Uniti: solo nel 2017 ha ucciso 47 mila americani (circa 400 mila dal 1999) diventando la quinta causa di morte del Paese, prima ancora degli incidenti stradali. Una emergenza nazionale che coinvolge direttamente o indirettamente un cittadino su tre.
Il procuratore generale Mike Hunter ha costruito la sua accusa sul fatto che la Johnson & Johnson – la quale fornisce il 60 per cento degli ingredienti per la produzione di oppioidi e attraverso la sua sussidiaria farmaceutica Janssen ne produce due, il Duragesic e Nucynta – avesse diffuso notizie incomplete e fuorvianti a medici e cittadini, usando tecniche di marketing aggressive e ingannevoli per vendere i potenti antidolorifici, nascondendone gli alti rischi di dipendenza. Il risultato è che gli oppioidi sono stati prescritti in numeri da record (18 milioni di ricette in tre anni per una popolazione di 3,9 milioni), portando a migliaia di overdosi, morti (seimila nello Stato dal 2000, secondo i legali) e tossicodipendenze. «Quello che è veramente senza precedenti – aveva detto Hunter nella sua arringa finale a luglio, dopo sette settimane di dibattimento – è come gli imputati si siano imbarcati in uno schema subdolo, disonesto e cinico per creare il bisogno di oppioidi». «Non ditemi che i dottori non fossero consapevoli del rischio», aveva ribattuto con freddezza il capo della difesa di Johnson & Johnson, Larry Ottawa.
La compagnia, già condannata a un risarcimento di 4,7 miliardi di dollari per il suo baby talco, che si era scoperto cancerogeno, ha sulle spalle 50mila cause civili su tutta una serie di prodotti. Ieri però i titoli del marchio dopo la sentenza sono saliti a Wall Street, che temeva una pena più dura.
La cifra richiesta dal procuratore era infatti di 17 miliardi di dollari, da investire lungo trent’anni in fondi per il trattamento delle dipendenze e programmi di prevenzione. Nella scelta del giudice ha pesato che le altre due multinazionali coinvolte nella causa – Purdue Pharma – di proprietà della famiglia Sackler, i produttori di OxyContin e veri «bad boy» di questa tragedia nazionale – e Teva Pharmaceuticals, avevano entrambi patteggiato per cifre ridotte: 270 milioni Purdue e 85 Teva.
Al di là dei numeri del risarcimento, la decisione di un giudice in Oklahoma avrà ora ripercussioni in tutti gli Stati Uniti. Questo era il primo caso del genere ad andare a processo, ma in coda ci sono duemila di cause intentate da stati, città, contee, tribù indiane. Uno scenario simile a quello che accadde negli anni Novanta con gli stati contro i big del tabacco, battaglia giuridica che si concluse nel 1998 con un accordo del valore complessivo di 246 miliardi.