la Repubblica, 27 agosto 2019
Catturato il detenuto clamorosamente evaso da Poggioreale
Già finita la fuga dell’evaso ora è caccia a chi lo ha aiutato
Dieci minuti, per mettere a segno una clamorosa evasione che resterà nella storia del carcere di Poggioreale. Trenta tesissime ore, per bloccarne la fuga. E assicurarlo nuovamente alla giustizia.
Quel film cominciato intorno alle 10 di domenica mattina – e che ora si vede per frammenti, dai monitor dell’impianto di videosorveglianza del penitenziario – è finito ieri sera, poco prima delle 22. Robert Lisowski, il polacco accusato di omicidio che si era dileguato saltando giù dal tetto della chiesa interna fino al muro di cinta e poi giù con una fune fatta di lenzuoli, è stato rintracciato ieri sera poco prima delle 22, in corso Garibaldi, versante Borgo Sant’Antonio Abate, in fondo poche centinaia di metri di distanza: area di antichi mercati bancarelli e traffici illeciti, dove forse cercava qualche conoscente. Era solo. Non ha cercato di opporre resistenza.
Una straordinaria caccia all’uomo aveva coinvolto squadra Mobile e carabinieri, oltre alle prime ricerche della polizia penitenziaria. E ora il questore Alessandro Giuliano dice: «Orgoglioso delle donne ee degli uomini della polizia».
Trentadue anni, Lisowski era finito in prigione per l’efferato omicidio di un cittadino ucraino. Tutto da solo, con una fune. Così pochi gli “ingredienti” a disposizione, così “banale” la sequenza, che ora cominciano le domande – e le ineludibili ipotesi della Procura – sulle distrazioni di quegli operatori della polizia penitenziaria che dovevano controllare i monitor della videosorveglianza: e invece non si sono accorti delle immagini, nitide, in cui si vede Lisowski allontanarsi dagli altri e prendere i locali della chiesa che portano in cima. Un piano sognato fin dal suo ingresso, nel 2018, a Poggioreale. Dove sono stipati quasi 2mila detenuti, su una capienza di 1480. Si indaga ora anche per “procurata evasione”. L’inchiesta, coordinata direttamente dal procuratore Gianni Melillo, e affidata alla Mobile, in particolare la sezione che lo scorso marzo catturò il superlatitante Marco Di Lauro, dovrà accertare quel “buco” di alcuni minuti in sala regia. E ricostruire se le immagini di Lisowski che prende la via di fuga sono passate sotto gli occhi di agenti “assenti”, o se la sequenza è arrivata in ritardo, causa impianto inadeguato. Accertamenti amministrativi disposti anche dal Provveditorato della Campania. Ma i sindacati avvertono: «Niente capri espiatori».
Emilio Fattorello, responsabile campano del Sappe, parla di «evasione annunciata». Motivo? «Abbiamo circa mille detenuti in più rispetto alla capienza, in una struttura vecchia, soffriamo di una carenza organica che non ci consente di garantire livelli adeguati di sicurezza. Tante le denunce, non cambia nulla». Altro è il contesto di un carcere colabrodo: con sospetti di fumo che passa, cellulari che arrivano in cella. È il penitenziario dove tutto o quasi sembra possibile. Come mostrano quei filmati: dieci minuti appena.
Lisowski lascia il padiglione Milano alle 10, cella 35, che divide con tre slavi e due napoletani. Per tutti – raccontano i compagni sotto interrogatorio da due giorni – è «un tipo silenzioso, fissato con la palestra e la messa». Ma lui stavolta si stacca dal gruppo, si dirige verso un vano esterno alle navate, infila le scale che portano su. È la falla: chi osserva in regia? Il tetto della chiesa diventa il trampolino di Lisowski. Il salto è forte, ma in discesa. Pericoloso per chiunque, ma alla portata di un uomo alto, magro, allenato. Il polacco atterra sul muro perimetrale, si cala con la rudimentale corda. Poi via. Ma non cala la seconda notte sulla sua fuga.