la Repubblica, 27 agosto 2019
Il totoministri
Attorno a Giuseppe Conte, l’”elevato” da Grillo cui alla fine si affida il Pd, il Nazareno è pronto a lanciare una squadra di prime firme. Ottiene il ruolo di vicepremier unico, per il quale è in pole il numero due del partito, Andrea Orlando. E fa entrare altre figure di spicco: Paola De Micheli, Tommaso Nannicini, Antonio Misiani, Roberto Morassut, Graziano Delrio, e fra i renziani di antico rito Ettore Rosato, uno fra Andrea Marcucci e Lorenzo Guerini. Ma godono di buone prospettive anche altri big come Paolo Gentiloni e Dario Franceschini.
Il totoministri, quando il Conte- bis faticosamente prende forma, dice che il segretario Nicola Zingaretti resta probabilmente fuori ma che nell’esecutivo chiede invece di entrare il suo omologo pentastellato Luigi Di Maio: vorrebbe succedere, proprio lui, a Matteo Salvini e andare dunque al Viminale. Ma i Pd, su questo punto, fanno resistenza. È uno dei nodi principali da sciogliere, nell’ultimo incontro della giornata, quello a Palazzo Chigi alla presenza dei due leader e del presidente dimissionario Giuseppe Conte di ritorno da Biarritz.
Si ragiona sui nomi, da una parte e dall’altra. Più difficile incastrarli nelle caselle giuste. I M5S mettono sul piatto l’offerta del vicepremier unico: i dem diffidano, temono la trappola, ma sono pronti ad accettare. Per l’incarico più importante il candidato naturale sarebbe Zingaretti, che però preferirebbe mantenere gli attuali compiti di segretario e di governatore della Regione Lazio. Ecco perché crescono le chances di Andrea Orlando, che però non tornerebbe alla Giustizia. Per quel ruolo Di Maio insiste fortemente per la conferma di Alfonso Bonafede, anche come simbolo della riforma del sistema che i M5S hanno avviato e che reputano simbolica. Ma resta in piedi anche l’ipotesi che in via Arenula vada un ex magistrato come Pietro Grasso, in quota Leu.
Il Viminale resta la poltrona più contesa: se il Pd la spuntasse, la scelta potrebbe cadere sul capo della polizia Franco Gabrielli, gradito a Matteo Renzi. Ma c’è pure la soluzione politica che conduce a Franceschini o a Marco Minniti. Dubbi anche sul ministero dell’Economia: calda la pista che porta ad Antonio Misiani, responsabile per le politiche economiche del partito ma resta in gioco l’uscente Giovanni Tria e c’è una nuova opzione forte, quella rappresentata dall’eurodeputato Roberto Gualtieri. Nome che i dem, però, potrebbero spendere pure come commissario Ue. Anche gli Esteri spetterebbero al Nazareno e qui torna in ballo il nome di Paolo Gentiloni, mentre per il Lavoro si punterebbe sul senatore Nannicini, docente di Economia politica alla Bocconi. Al ministero dello sviluppo economico potrebbe andare Misiani, se non gli toccasse la poltrona che scotta di via XX Settembre. E e se Di Maio, fermata la giostra, non mantenesse l’incarico rivestito nell’esecutivo gialloverde. Ambienti pd accreditano l’ipotesi dell’ingresso di Francesco Scoppola, responsabile degli scout Agesci nel Lazio.
I 5 Stelle, in definitiva, dovrebbero confermare al governo Di Maio e almeno due fedelissimi come Bonafede e Riccardo Fraccaro. Quest’ultimo cambierebbe delega, anche perché difficilmente in un esecutivo col Pd esisterà un ministero alla democrazia diretta. I volti nuovi dovrebbero essere i capigruppo Stefano Patuanelli (avviato verso le Infrastrutture al posto di Toninelli) e Francesco D’Uva. Vede la promozione il sottosegretario Vincenzo Spadafora. I 5S rivendicano un ministero strategico come l’Ambiente, finora affidato a Sergio Costa. Non è detto che il titolare resti il generale dei Carabinieri. Perché fino all’ultimo non ci sono certezze, in questa crisi che, sul traguardo del Quirinale, può chiudersi al fotofinish.