Robinson, 24 agosto 2019
Intervista a Jovanotti
Sbam! È così, come dice la canzone: “Fiori ribelli sul ciglio delle statali splendono”. Non te ne accorgi neanche e ci sei già dentro. Il problema è arrivarci al Jova Beach Party.
Policoro, Basilicata. Backstage: due del pomeriggio del giorno successivo alla partenza dopo aver preso aereo, treno, taxi, hotel a 20 chilometri, auto della produzione: «Questo backstage senza aria condizionata, senza container, l’ho voluto io perché non ci fosse nessuna differenza tra pubblico e artisti, così tutti viviamo l’atmosfera dell’evento», dice Lorenzo nel piccolo villaggio dietro il palco di tende indiane bianche, bancali di legno come sedie «il caldo, il sudore sono parte dell’esperienza. L’atmosfera che si crea è importantissima: è un evento molto potente, vedrai...».
Qual è lo spirito che deve avere un concerto?
«Per me è sempre quello della madre di tutti i festival, Woodstock. Però la cosa diversa in questo caso è che noi ci spostiamo. Di solito un festival ci metti quindici giorni a montarlo, altri quindici a smontarlo e poi ti fermi due, tre giorni. Noi invece domani andiamo subito da un’altra parte, infatti ci sono tre produzioni che lavorano contemporaneamente. Per cui, mentre noi siamo qui, c’è già un’altra produzione al lavoro sulla spiaggia successiva. Dal punto di vista realizzativo questa è davvero una sorta di follia».Ma come, eri a casa di Rick Rubin? In America?Ma come e quando ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?
«Quando non saprei dirtelo con esattezza. Forse è qualcosa che ho in mente da sempre. Da quando i miei fratelli più grandi mi hanno fatto vedere Woodstock. Te la ricordi quella marea di corpi e poi Hendrix, Santana...».
Interruzione: «Oh brother, come va? È una vita che non ci vediamo!». È arrivato Alborosie, uno degli ospiti: non è giamaicano, nonostante i suoi dread lunghi fino ai piedi.
Alberto D’Ascola, questo il suo vero nome, viene da Bergamo ma da anni vive in Giamaica dove è famoso e molto rispettato: ha fondato il GeeJam a Porto Antonio, un bellissimo studio di registrazione e ha collaborato con alcuni tra i più famosi artisti locali da Sizzla a Ky-Mani Marley. Un altro che è riuscito a realizzare un sogno.
Un sogno: proprio come un tour in spiaggia.
«Uscire dal seminato è il vero rock’n’roll. Il rock oggi è diventato un’industria, un format: il solito asse Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli. Le grandi città che hanno le infrastrutture, insomma. Un format che produce una liturgia contemporanea dove i ragazzi sanno dove andare, a che ora arrivare, cosa fare. Bello, certo, ma quando hanno fatto Woodstock tutto questo non c’era. Nessuno sapeva cosa sarebbe successo».
Così hai deciso di rompere il format.
«Sì ed è stata una cosa improvvisa, fatta d’istinto. Lo scorso settembre stavo andando a una riunione a Milano per parlare di un nuovo tour negli stadi. Avevo appena finito 70 date nei Palasport con uno spettacolo molto pensato, molto potente: una macchina da guerra che funzionava di brutto: aveva fatto 700/800 mila persone.
Però mentre ero in macchina pensavo: ma io l’ho già fatta questa storia. Che cosa vado a raccontare negli stadi l’anno prossimo? Se faccio così entro in quel circuito classico disco—promozione— tour e così via all’infinito».
Una routine.
«Mi chiedevo: è proprio questa la mia natura? No, non lo è mai stata. Cosa vado a fare a San Siro? Lo stesso spettacolo dei Palasport gonfiato per uno spazio più ampio? Qual è la motivazione per farlo? È sufficiente una motivazione economica? E la risposta era sempre la stessa: no. Ho sempre fatto le cose perché amo la musica, poi, certo, per fortuna sono arrivati anche il successo, i guadagni...
Insomma, ho detto che quella cosa lì non la volevo fare. E ho improvvisato un’idea: la inventavo mentre parlavo!».
Veniamo interrotti. «Scusate, lei è Benedetta Pilato, la campionessa di rana». Lorenzo si alza: «Minchia!
Complimenti, non si parla d’altro! Ma tu sei di qua?». «Di Taranto», dice lei timida e sorridente. «Fa sentire il bicipite! Quanti anni hai tu?». «14». «Pazzesco! Non ti devi montare la testa però...». «No, no. Possiamo fare una foto?». «Certo». Più tardi Lorenzo la inviterà sul palco.
Adesso invece è arrivato il momento di fare le prove: «Riprendiamo dopo, tanto io faccio avanti e indietro tutto il giorno tra palco e backstage», mi dice. Prende in mano la chitarra acustica e si siede su una tavola di legno, Alborosie è seduto su un altro tavolo vicino. Alcuni membri della band stanno intorno con tastiere e percussioni, l’immancabile Saturnino al basso. Lorenzo attacca Mediterraneo, una canzone di Mango, scomparso proprio qui nel 2014 a Policoro che, alla luce degli eventi di oggi, acquista un significato particolare: “Bianco e azzurro sei con le isole che stanno lì/ le rocce e il mare coi gabbiani/ Mediterraneo da vedere con le arance/ Mediterraneo da mangiare/ Mediterraneo da soffrire sotto il sole/ Mediterraneo per morire”. L’atmosfera si fa raccolta e diventa magica quando Lorenzo intona Redemption Song di Bob Marley con la voce reggae di Alborosie in controcanto: “Emancipate yourselves from mental slavery/ None but ourselves can free our minds/ Won’t you have to sing/ These songs of freedom?”. Certo che la cantiamo questa “canzone di libertà”. Con Vasco Brondi nella data di Comacchio Lorenzo ha recitato Casa di Warsan Shire, una poesia: “Nessuno lascia casa a meno che/ la casa non sia la bocca di uno squalo/ scappi al confine solo/ quando vedi tutta la città scappare/ i tuoi vicini corrono più veloci di te/ fiato e sangue in gola/ il ragazzo con cui sei andata a scuola/ che ti baciava vertiginosamente dietro la fabbrica di lattine/ tiene in mano una pistola più grande del suo corpo/ lasci casa solo/ quando la casa non ti lascia rimanere”».
Quanta gente viene a questo festival?
«Qui al Sud siamo sui 25 mila a data ma a Rimini e Lignano abbiamo fatto 45 mila e due botte così anche a Viareggio.
È sempre tutto sold out. Ma al di là di questo, credo che la cosa bella sia la varietà della musica: tra le varie date ci sono più di 60 ospiti: Caparezza e Toto Cutugno, Brunori Sas e Morandi, Baloji e Alborosie, Afrotronics e Carboni, Takagi & Ketra, i BoomDaBash, Bombino, Frankie hi-nrg, Vasco Brondi, Fiorello... Per me è davvero un paradiso, è la musica che mi piace, che ti vorrei far ascoltare se vieni a trovarmi a casa mia...».
Molti di questi ospiti vengono decisi e annunciati solo il giorno prima. Intanto è arrivato il momento. Lorenzo corre ad aprire le danze, sale sul palco: «Giornatina fresca a Policoro oggi, eh! Un po’ di consigli: fate il bagno ogni tanto, rinfrescatevi. Vi voglio dire questo: lo spirito ribelle del rock’n’roll oggi passa attraverso… la raccolta differenziata per esempio! Cerchiamo di lasciare la spiaggia come l’abbiamo trovata». I gruppi si alternano sui vari palchi, Lorenzo li ha presentati, ha ballato, ha suonato, ha improvvisato con tutti, dai Tarantolati di Tricarico agli I Hate My Village, band italiana i cui musicisti suonano anche con artisti africani come Bombino e RokiaTraoré, fino ad Alborosie, che più tardi inviterà anche nel suo set. Sono passate più di cinque ore da quando abbiamo iniziato.
La domanda non può essere altro che: come fai?
«Io mi diverto come un pazzo. Però ti devo dire la verità: non ne posso fare due di seguito. Ho 53 anni e il problema non è l’energia, quella c’è persino più di un tempo, è il recupero. Il giorno successivo sono morto. Un attimo dopo esser sceso dal palco la sera mi faccio la domanda: “Ma come cazzo ho fatto?”».
Beh, tu fai anche molta preparazione atletica...
«Non con sacrificio però. La faccio perché mi piace. Adoro fare un sacco di chilometri in bici e poi palestra, allungamenti, tutta la parte degli addominali perché se no mi fa male la schiena. E poi mangio bene, non bevo niente se non un bicchiere di vino con gli amici. Faccio una vita abbastanza monastica».
Cosa mangi? Sei vegetariano?
«No, mangio pesce ma non mangio la carne. Cerco di provare un po’ di tutto ma ovviamente molta frutta, molta verdura. L’altra sera ero a casa di Rick Rubin e ascoltavamo il podcast di un nutrizionista californiano molto interessante…».
«No, in Toscana: ha appena comprato una grande casa e stiamo facendo uno studio insieme; sarà una bella rivoluzione. Adesso abbiamo registrato questo pezzo di Gianni Togni,Luna,che negli anni 80 era stato una hit...In cinque giorni abbiamo registrato anche altre dieci canzoni italiane che parlano della luna che non so se pubblicherò mai. Lui era molto preso bene...».Rick Rubin è un’opportunità per molti musicisti italiani! E Luna sembra proprio fatta per te: “Son pieno di contraddizioni/ che male c’è/ adoro le complicazioni/ fanno per me/ non metterò la testa a posto/ mai/ a maggio vedrai che mi sposerai”: tu sposi pure la gente...«È vero (ride come solo Jovanotti sa ridere)».E ti cerchi delle difficoltà, un po’ come diceva Jack White: ogni nuovo disco deve essere una sfida.«Sì, lui però è più “puro” di me. Io invece amo proprio arrivare alla gente. Ne sento proprio il bisogno. Una volta me lo disse anche un analista con cui feci due o tre chiacchierate. Raccontandogli della mia infanzia, dei miei genitori, mi disse: “Alla fine tu sei quello che fa parlare i tuoi genitori, quello che si è incaricato di portare un po’ di allegria nella vostra casa”. Aveva ragione. Io questa cosa l’ho sempre sentita: il mio scopo, fin da quando avevo cinque anni, era far stare allegra la mia mamma. Ogni volta che tornavo da scuola, che salivo le scale, mi ponevo l’obiettivo di far stare allegra la mia mamma. Che non era allegra per un cazzo. Perché?Perché succede. È la vita delle persone. Tosto, no? Quindi questa cosa qui è forse quella che più mi ha segnato, che mi ha portato a fare quello che ho fatto».Cantavi: “Guarda mamma come mi diverto”.«La canto anche qui. E anche di questo festival che stiamo facendo oggi quello che più mi manca è non poter dire alla fine: “Guarda mamma che cazzo ho fatto ieri sera!”.È la cosa che più in assoluto è struggente per me. Perché poi davvero credo che siamo qui per far stare contente le nostre mamme... È una cosa tremenda, ma è un destino di molti italiani: ci prendono in giro per questo, no? (ride)».Qualche anno fa hai perso anche il papà.«Sì, il babbo però mi manca meno perché in qualche modo l’ho introiettato, anche perché io adesso sono a mia volta un padre. Non c’è più lui ma ci sono io. Ma non ci posso essere io al posto della mamma: la mamma è l’altra, è una presenza, e adesso mancanza, diversa da me, con cui continui a fare i conti. Ma al tempo stesso è una forte motivazione per quello che faccio».Nei tuoi testi parli molto di libertà: un tema davvero importante soprattutto oggi, un tempo in cui si rischia di tornare indietro. Che cos’è per te la libertà?«È una tensione irrisolvibile. Sono uno di quelli che pensano che se riesci a raggiungere la tua libertà questa funziona come contagio: sono convinto che noi ci dobbiamo provare a realizzare la nostra libertà durante questa vita qua. Per definire la libertà non puoi aggiungere niente alle parole di Gaber: “Non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, non è neanche avere un’opinione”...».La libertà è partecipazione.«Prima di tutto partecipazione al tuo destino, si parte da lì: chi sono io in questo presente? Che ruolo ho in questa storia qua? In questo film che parte faccio? Chi sono?».Internet è partecipazione?«Una delle cose che più mi sconvolge e che più mi inquieta è che Internet, che ci doveva liberare, sta diventando il monopolio di quattro persone. Questo è preoccupante, bisognerebbe farsi delle domande: forse questa si chiama Rete perché ci ha catturato».Le “fake news” sono diventate uno strumento politico potentissimo. Chi fa i giornali lo sa bene.«È il grande tema di oggi. Io spero che fra trent’anni, guardando ad adesso, questo tempo ci possa risultare un po’ feroce. Lo spero perché vorrebbe dire che ci siamo liberati. La dinamica delle fake news è terribile. Mi capita spesso di esserne colpito direttamente e pazienza, ma colpisce tutti. Diffondere questo veleno fa guadagnare cifre astronomiche ai grandi gruppi perché se la notizia non è più una notizia ma è un prodotto perché vale il clic, c’è una minaccia, perché è chiaro che la notizia, più è assurda, più attira. Io stesso ne sono vittima: se vedi il cane con tre teste clicchi, è la natura umana. Non puoi cambiarla, per cui devi fare in qualche modo una regolamentazione. C’è una sola arma che ti può salvare».Qual è?«La cultura: leggere libri, guardare film belli, andare in giro, aprirsi, imparare cose, sapere le tabelline, sapere le coniugazioni dei verbi. Questa roba qui ti salva il culo: è l’unica arma. Perché l’arma legislativa è lenta. Quello che tu puoi fare è diventare una persona cosciente, consapevole e questo lo acquisisci leggendo. Se hai letto l’Eneide la tua visione dell’immigrazione è immediatamente diversa perché ti rendi conto che è la vita che funziona così. Che c’è un’epica nelle migrazioni: la storia di ogni persona che si alza e decide di fare un viaggio pieno di pericoli è pura epica. Enea è tutti quelli che arrivano. E se non lo capisci sei vittima. Vittima di chi ti usa. Questa cosa che si dice di parlare alla pancia non la capisco: non si parla alla pancia, si parla alla testa della gente! Alla pancia dai da mangiare, le puoi dare delle emozioni, magari un po’ di allegria».Oggi, alla pancia, più che l’allegria si dà l’odio.«E allora c’è bisogno di studiare. È questa la rivoluzione.Come bisogna fare per qualsiasi lavoro tu voglia intraprendere. Questo fatto che sta passando adesso per cui l’ignoranza è una cosa positiva, per esempio: beh no, non è una cosa positiva, è una disgrazia! Bisogna uscire da quella roba lì. Io ogni volta che ho imparato una cosa nuova sono più contento! Non possiamo aspettare che Facebook si regolamenti. La libertà, oggi, è anche quella di accedere alla cultura liberamente, gratis, ovunque».Tu sei stato, credo, il primo in assoluto a essere bollato di “buonismo”, quando ancora non era di moda.«Orgogliosamente. Non significa niente ma io, certo che sono per i buoni! Ci mancherebbe. Comunque per me tutte le parole che finiscono in “ista” non significano un cazzo. Io sono perché tutti si possano esprimere. Una volta mi hanno preso per il culo perché ho detto: “Che le idee danzino”. Lo riaffermo sì, che le idee danzino! Anche le peggiori, la democrazia è questa roba qua, lo dobbiamo accettare. La democrazia è scontro politico, dialettica politica. E questo è bello, anche quando non siamo d’accordo. Il contrario è sempre peggio. Per cui mi va bene “buonista”, mi va bene qualsiasi cosa. L’altro giorno in un podcast ho sentito un’intervista fighissima a Werner Herzog in cui si diceva: “Spesso si sbagliano quando parlano del tuo lavoro”. E lui: “Let them be wrong!”, “Va bene, lascia che si sbaglino”».A proposito di Beach Party, nei giorni precedenti proprio qui a Policoro e prima ancora a Milano Marittima al Papeete Beach ce n’è stato un altro che potremmo chiamare il “Salvini Beach Party”: ti ha copiato?«Ah ah, mi ha copiato dici? Eh beh, il ragazzo è sveglio! Ma io sai, non condivido neanche un’idea di Salvini, non condivido la sua visione del mondo. Io sono per un mondo multiculturale, senza confini, sono per tutta un’altra cosa. Però non mi interessa screditare Salvini.Non ho i mezzi, non è il mio ruolo, non me ne frega niente. La mia roba è questa che vedi, parla da sola. Non si tratta di sottrarsi a esporsi: io sono pronto a espormi sempre ma secondo me semplicemente non serve in questo momento. C’è un’energia talmente forte che gira intorno a lui per cui non serve a niente parlarne. È molto meglio creare un altro tipo di energia altrettanto forte, non contrapporsi alla sua. Perché quell’energia esiste: è qui! Il mondo è pazzesco. Quello che possiamo dire a questi ragazzi è che non devono avere paura del mondo».Il motore dell’odio, come dice Dario Brunori nella sua “L’uomo nero”, infatti è sempre la paura...«Non bisogna avere paura. Le nuove generazioni hanno molti mezzi a disposizione, possono essere davvero padrone della propria vita. E chi gli mette paura le sta usando. Bisogna essere attenti certo, e i giovani devono saper ascoltare, essere aperti ma hanno molte più possibilità delle generazioni precedenti. Non dobbiamo usare le nostre energie contro Salvini: ma chi se ne frega!Non c’è mai stato un momento migliore per essere al mondo! Stanno succedendo un sacco di cose belle! Lo dico a costo di risultare naïf: il mio problema non è Salvini! Il mio problema è quello di dire qualcosa di forte a questi ragazzi. Io non penso a Salvini neanche un minuto al giorno. Lui ha le sue idee, la sua visione: che la porti avanti! Se ha gente che lo segue la porti avanti. Io andrò da un’altra parte, farò il mio lavoro. Abbiamo uno strumento che è la democrazia, il voto. E poi abbiamo l’intelligenza che è più della democrazia. E, concludo, il problema della sinistra non è Salvini: è la sinistra. Dobbiamo parlare a tutti. Qui dove siamo oggi non è il Primo Maggio in cui siamo tutti belli, la pensiamo tutti nel modo giusto e pensiamo tutti la stessa cosa. No: insieme devono stare quelli che la pensano diversamente, che vengono da storie diverse. Per me questo è fondamentale!».Lorenzo sale sul palco: «Alzino la mano i sognatori!»: è una spiaggia di decine di migliaia di mani che si alzano. E poi: «Alzino la mano i viaggiatori!», «i lucani», «i pugliesi», «gli italiani», «gli europei», «i cittadini del mondo», ed è ancora come un marea che si agita. C’è energia qui.«Respirate questa libertà!». È l’ombelico del mondo: tra i Tarantolati di Tricarico, il reggae di Alborosie e ilMediterraneo di Mango che diventa l’inno ribelle I Shot the Sheriff. Luna. Stelle. Canzoni d’amore. Di esploratori e migranti. Fuochi sul palco e nel cielo. È l’energia diversa.Una spiaggia diversa. Lorenzo che canta: «Tempi difficili, a volte tragici/ Bisogna crederci e non arrendersi/ viva la libertà/ Viva! La libertà!». Viva la libertà.Non è solo una dichiarazione d’intenti. È un atto politico.