la Repubblica, 25 agosto 2019
L’auto elettrica frena e il prezzo del cobalto crolla del 58%
TORINO – Sarà fermata per due anni. La miniera di Mutanda, 27 mila tonnellate all’anno di produzione, quasi un quarto dell’intera produzione mondiale di cobalto, verrà chiusa. «Il mercato non è remunerativo in questo momento», ha detto in una lettera ai dipendenti Glencore, il gigante svizzero delle estrazioni che possiede l’impianto. Sui giornali inglesi si sospetta che la mossa sia stata compiuta per ottenere vantaggi fiscali nel braccio di ferro con il governo del Congo, dove si trova Mutanda e dove l’esecutivo ha recentemente alzato le tasse sull’attività estrattiva.
Al di là delle ragioni tattiche che possono spingere Glencore alla battaglia fiscale con Kinshasa (finendo per togliere il lavoro al migliaio di dipendenti della miniera), è un fatto che dall’inizio dell’anno il prezzo del cobalto è effettivamente crollato. E questo è certamente sorprendente. Le Monde calcolava nei giorni scorsi che il crollo sia stato del 58 per cento a partire da gennaio scorso. Una inversione di tendenza incredibile perché il cobalto è uno degli elementi fondamentali nella produzione delle batterie e la crescita del suo prezzo era stata, fino a pochi mesi fa, esponenziale. Nel 2016 un chilo di cobalto valeva 27 euro, a metà 2018 era arrivato a 65. Ora è ridisceso a 28,5 euro. Perché la brusca impennata?
Gli analisti spiegano il fenomeno con diverse motivazioni. Ci sono ragioni diffuse e c’entra anche, sia pure in minima parte, l’effetto delle ricerche dei cinesi che, proprio per non dipendere troppo dal Congo (le miniere del Paese estraggono il 65 per cento del cobalto mondiale) hanno avviato studi per ridurre la quantità di minerale necessario nelle batterie di ultima generazione. Ma questa da sola non può certo essere la ragione del crollo improvviso del valore del minerale. La spiegazione più semplice è quella del mercato. Secondo tutte le previsioni (l’ultima è di Bloomberg) la richiesta mondiale di gigawatt/ ora salirà vertiginosamente entro il 2030. Dagli attuali 316 all’anno salirà a 1.400. Questo perché la richiesta di auto elettriche dovrebbe coprire tra dieci anni quasi un terzo del mercato mondiale. Oggi, per avere una proporzione, le auto totalmente elettriche rappresentano poco più dell’uno per cento delle immatricolazioni. Attratta da queste previsioni la filiera elettrica si è gettata negli investimenti. Per questo negli ultimi tre anni il prezzo del metallo era salito alle stelle.
La corsa all’accaparramento non è stata però corroborata dalla realtà. La crescita dell’auto elettrica c’è stata ma non nelle dimensioni immaginate, quelle che avevano giustificato l’accaparramento degli anni scorsi. Per ora la scarsità di una efficiente rete di colonnine e punti di rifornimento, rende ancora incerti gli acquirenti spingendoli con cautela verso le auto totalmente elettriche, quelle destinata a far impennare davvero il mercato delle batterie. Così, all’improvviso, il prezzo del cobalto ha iniziato a scendere. Il valore del metallo è stato affossato dall’ottimismo degli analisti sul passaggio all’elettrico. Ma questo non vuol dire che chi ha comperato il metallo in questi anni non lo utilizzerà nel prossimo futuro. Solo che lo avrà pagato 40 dollari a libbra mentre oggi lo porta a casa con meno della metà. La chiusura di Mutanda, se non si rivelerà solo una minaccia nel braccio di ferro fiscale tra la Svizzera e Kinshasa, servirà a far risalire il valore del metallo. Ma in ogni caso dimostra quali effetti concreti possano avere le previsioni degli analisti sul mercato dell’auto.