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 2019  agosto 25 Domenica calendario

La Versilia di Renzo Arbore, intervista

 Alessandro Ferrucci | 25 AGOSTO 2019Il tono e lo stile sono esattamente alla Renzo Arbore, con la sua leggera “erre” arrotata, la voce squillante, allegra, di chi ha basato parte dell’esistenza su un concetto caro anche a Luciano Salce, quando sosteneva che “l’ironia è una cosa seria”; la sostanza, all’inizio, è meno leggera e più figlia di una quotidianità parlamentare variopinta: “Questa mattina (sono le dieci) non ho ancora trovato il Fatto: la situazione politica è preoccupante”. Molto. “Davvero. E Salvini è uno che non ha niente a che fare con gli artisti (Ci pensa). Comunque, veniamo a noi: felicissimo di suonare alla Festa del Fatto con l’Orchestra Italiana (venerdì 30 agosto alla Versiliana), e poi per me, nei primi anni Cinquanta, la Versilia era Hollywood”.
Suoni e luci.
Già a quel tempo mi occupavo di musica, e l’estate con la famiglia andavamo a Riccione, definita allora la “Perla verde dell’Adriatico”; così noi terroni ci trovavamo davanti a una realtà totalmente estranea e affascinante, composta da musica moderna, macchinoni americani, quelli sterminati, neon…
Ma…
Finalmente nel 1954 i miei mi portano in Versilia e lì trovo la realizzazione sonora e visiva delle mie fantasie musicali: scopro la meraviglia dei night club.
Luoghi da copertine patinate.
Al Caprice di Viareggio si esibiva il mio mito: Peter van Wood, che negli anni successivi è diventato più celebre come astrologo nella trasmissioni di Fabio Fazio, ma al tempo era un numero uno assoluto per come suonava la chitarra elettrica.
Uno dei primi.
Era uno strumento raro, quasi esotico perché giudicato pericoloso.
Da chi?
Giravano presunte storie di musicisti morti fulminati (sorride). A quel tempo suonava anche Armandino Zingone, altro virtuoso dell’elettrica: alla fine dello spettacolo, verso mezzanotte, invitava sul palco i suoi otto figli e sfilavano in ordine di altezza.
Però Van Wood…
Lo ricordo mentre suonava Butta la chiave Gelsomina ed era adorato dalle signore presenti, tutte rappresentanti dell’alta borghesia, come la famiglia Agnelli, perché allora solo i benestanti potevano permettersi certe serate (E qui Arbore scova nella memoria un file con all’interno una lunghissima sfilza di “eroi” dell’epoca). Un altro capostipite era Bruno Quirinetta, poi Fred Buscaglione, Don Marino Barreto e Renato Carosone.
Lei entrava nei night?
All’inizio la sera mi piazzavo fuori dai locali, ascoltavo i suoni che provenivano da dentro, mi limitavo ad assaporare briciole di atmosfera, ciò che non potevo vedere lo compensavo con l’immaginazione; mentre il pomeriggio i ragazzi avevano accesso. Sì, la Versilia era la mia Mecca.
Una fissazione.
Mio padre preoccupatissimo, incolpava la musica degli sporadici insuccessi scolastici. Ah, sempre l’estate del 1954 è stata percorsa dallo scandalo sentimentale tra Antonella Lualdi e Franco Interlenghi, amore fuorilegge, e loro pubblici concubini.
Altro che divorzio.
L’Italia di allora si basava sulle apparenze, sul fare senza dire, e quel rapporto è stato ossessionato dai riflettori. Lei bellissima. E vicino ai due, in Versilia, c’era il grande Sergio Bernardini.
Colui che ha creato “La Bussola”.
E quell’estate andava in giro ad annunciare i suoi prossimi propositi, senza paura né scaramanzie, urlava: “Tutti questi locali sono finiti, il prossimo anno apro il mio, La Bussola, e li faccio fallire”.
Insomma, già ambiente molto borghese.
Be’, c’è un personaggio interpretato da Albero Sordi, che individuava nella Fiat 600 l’apice della scalata sociale, e a quel tempo la Versilia era invasa dalle 600, guidate da medici, avvocati, ingegneri; lo diceva anche Renato Carosone. Ribadisco: era il paese dei balocchi, ogni tanto ne parlo con Gigi (Proietti), e i cantanti da night oramai sono pochissimi.
Chi?
Oltre a me e Gigi? Anche Peppino Di Capri, Fred Bongusto, Andrea Mingardi e Fausto Leali.
Lei e Proietti.
Suonavamo con il contrabbasso finto.
Come, finto?
Andavamo a casaccio, non eravamo in grado, ma per ottenere una paga era necessario suonare più strumenti e possedere un repertorio musicale infinito. Mio padre anche in questo caso disperato.
Sempre per la scuola?
No, per l’ingombro del contrabbasso; quando l’ho portato a casa è sbottato: “O tu o lui”.
Spiegava del repertorio infinito.
Dovevamo conoscere un numero imprecisato di brani, perché il vero cantante da night è pronto a esaudire ogni richiesta del pubblico, così uno doveva studiare, preparare, memorizzare e sperare nella bontà d’animo dei presenti.
Da qui la sua preparazione.
Anche. Ma la musica italiana è straordinaria, la più ricca e varia al mondo, ed è una follia politica non averla valorizzata in questi decenni.
Le hanno mai proposto la direzione di Sanremo?
Più di una volta, e non ci penso proprio.
Perché?
Non è per me, la mia musica è differente, è più rhythm and blues, più statunitense, non sarei in grado; un anno, e per scherzo, all’ennesimo invito, ho risposto: “Niente direzione, però porto un brano”. Hanno accettato. E mi sono presentato con Il clarinetto (1986).
Eppure ha creato “L’Orchestra italiana”.
Nata perché nessun napoletano aveva mai pensato di raccogliere la sua tradizione, e doveva durare appena due anni, al contrario siamo al 28esimo.
Esibiti ovunque.
Abbiamo girato il mondo, dal Sudamerica a Miami; dal Madison di New York fino alla Piazza Rossa di Mosca.
Adriano Aragozzini, allora vostro manager, racconta che siete stati i primi ad accedere nel cuore politico della Russia.
Verissimo, una serata epica, complicata da organizzare: era crollato il Partito comunista, quindi mancavano i punti di riferimento, non sapevamo con chi discutere, e per questo siamo stati costretti ad allungare qualche mazzetta in dollari.
Dolore.
Non solo, eravamo tallonati dai servizi segreti, non potevamo muoverci liberamente neanche di un centimetro (Ride). Ho cantato Il Clarinetto tradotto in cirillico. Ah, in Russia ci sono stato anche con Franco Battiato e Milva.
Dalla Carlucci alla Laurito, fino a Frassica, tutti le riconoscono la capacità di estrarre il meglio dalle persone.
Anche qui devo ringraziare il jazz che mi ha insegnato l’arte dell’improvvisazione: in 14 anni di trasmissione con Gianni (Boncompagni), non abbiamo mai scritto una scaletta. Lui perché sfaticato.
Boncompagni non era sfaticato per gli scherzi.
Con lui era pura goliardia in stile Amici miei: magari chiamavamo le persone e gli comunicavamo: “Presentati alle sei del mattino in questo posto e vinci un’automobile”. La gente ci cascava. Negli ultimi anni Gianni andava intorno a San Pietro vestito da prete, poi entrava nei negozi religiosi per scegliere i crocifissi. Su Bonco sto preparando uno speciale che andrà in onda a ottobre sulla Rai, dal titolo Non è la Bbc.
Goliardia, diceva.
L’errore degli italiani è stato quello di derubricarla a stupidità umana, mentre spesso era espressione di un umorismo raffinatissimo; anni fa Umberto Eco mi ha consegnato una laurea in “goliardia” all’università di Bologna ed è uno degli attestati dei quali vado maggiormente fiero.
Per una sua goliardata si è offeso, e molto, Al Bano.
Con Roberto D’Agostino ci ha definito “due simpatici figli di puttana” dopo aver perso una causa per diffamazione.
Per cosa?
Anni fa abbiamo pubblicato un libro di gossip, 100 mila copie vendute e diventato oggetto introvabile. Lì, tra le varie voci, ci siamo dedicati alla sua storia con Romina (Power). E lei si è offesa dei nostri toni ironici.
Estate 1969: l’Italia inizia a cantare “Acqua azzurra, acqua chiara”.
Brano presentato per la prima volta a Speciale per voi, il primo talk show della televisione italiana. Quel giorno Lucio (Battisti) doveva cantare altro.
Cioè?
Arrivò insieme a Mogol con 10 ragazze per me, avevano la necessità di vendere dischi. L’ascolto, e gli manifesto un dubbio: “È bella, ma ricorda troppo Cuore matto”. Così puntai sul lato B. E Lucio era convinto di non saper cantare.
Non gli piaceva la sua voce.
Sosteneva di cantare peggio di Mogol, e Giulio aveva realmente una brutta voce.
Anche Mogol parla bene di lei.
Non esageriamo: la verità è che mi vedono ottantenne, quindi si inerpicano in complimenti perché non mi giudicano offensivo.
Errore.
Enorme, quindi voglio rassicurare tutti: lo sono ancora, offensivo. E per la Versiliana ho in mente alcune sorprese… (non svelate. Da vero professionista dei night club).