Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 25 Domenica calendario

Nell’ultimo decennio l’utile per singolo cliente delle banche commerciali italiane è più che dimezzato

Per capire quanto sia costata la crisi dell’ultimo decennio alle banche italiane, e alla forza lavoro impiegata negli istituti, basta guardare due dati: nel giro di dieci anni, l’utile per singolo cliente delle banche commerciali italiane è più che dimezzato, mentre è andato in fumo un terzo dei ricavi per singolo utente.
È una mannaia pesantissima quella che è caduta sui bilanci delle principali divisioni retail degli istituti creditizi domestici tra il 2008 e il 2018. Un decennio in cui, complice l’onda lunga della crack finanziario post Lehman, la spirale del crisi debito sovrano e la doppia ondata della crisi economica (che ha pesantemente impattato sulla qualità del credito), gli istituti italiani hanno visto contrarre tutte le principali voci di ricavi e di profitto. E se è vero che la fase più dura della “grande dieta” sembra essere alle spalle, è anche vero che la strada per allinearci alla media europea sembra essere ancora lunga.
Questa, almeno, è la fotografia scattata dalla società di consulenza A.T. Kearney, che analizza annualmente i conti di 92 banche retail (tra cui le italiane Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Ubi e BancoBpm) attive in 22 mercati europei. Una ricerca che non lascia spazio a molti dubbi rispetto alla drastica trasformazione sopportata dal settore del credito nell’ultima decade. Se dieci anni fa i ricavi per clienti erano pari a 1.141 euro annui, oggi il dato scende a 817 euro, con una riduzione del 28%. «Il calo è forte – spiega Ettore Pastore, partner di A.T. Kearney – ed è legato a un mix di fattori: oltre alla riduzione dei tassi, che è comune a tutta Europa, in Italia le commissioni sui prodotti transazionali, tradizionale fonte di ricavi, si sono contratte fortemente nonostante il recupero recente, mentre la crisi economica della clientela Small business dopo il 2008 ha ridotto i volumi».
I ricavi medi per cliente, va detto, rimangono storicamente superiori alla media europea (pari a 620 euro) ma ciò non deve trarre troppo in inganno. I volumi retail italiani «sono mediamente più elevati per la ampiezza della gamma prodotti offerti, si pensi ad esempio al risparmio gestito e ai prodotti assicurativi, in un contesto di banco-centrismo del nostro paese», spiega Pastore. Tuttavia, all’orizzonte «si affacciano nuovi operatori, in particolare legati al Fintech, sempre più competitivi che possono rappresentare una minaccia per la generazione di ricavi delle banche”.
Meno costi, ma non basta
A fronte di una netta contrazione dei proventi, le banche come noto hanno reagito con una stretta sul fronte dei costi. I tagli occupazionali hanno interessato gran parte delle banche italiane. Tuttavia, a questi minori costi hanno fatto da contraltare maggiori spese per adeguamenti normativi-regolamentari e per investimenti in tecnologia legati alla trasformazione digitale in atto. L’effetto è che se l’Italia nel 2008 presentava un rapporto tra costi e ricavi pari al 56,3%, negli anni successivi il dato è andato via via crescendo anche per il coincidente calo dei ricavi, per poi assestarsi al 60,5% nel 2018. «Si tratta di un dato che è un effetto combinato della performance positiva di Intesa Sanpaolo e UniCredit, che presentano cost/income ratio inferiori al 60,5% – aggiunge il consulente – e quella meno virtuosa delle altre banche loro concorrenti e di dimensioni minori in Italia».
L’aspetto confortante è che le banche italiane rimangono più efficienti rispetto alle banche tedesche e francesi. La nota dolente, tuttavia, rimane il costo del credito, che inevitabilmente impatta sull’ultima riga di bilancio. La massa di crediti deteriorati ha fatto balzare gli accantonamenti dal 14 al 22% in dieci anni, contro un 5% a livello europeo.
Inevitabile che, di fronte a questa impennata, si sia assottigliato l’utile per cliente, che è sceso da 357 euro per cliente (2008) ai 141 euro di dieci anni dopo, con un crollo del 60%. L’effetto finale è che, per raggiungere i livelli di produttività media a livello europeo, secondo le stime della società di consulenza, l’Italia nei prossimi anni dovrà aumentare di almeno il 21% i ricavi o, in alternativa, ridurre del 18% i dipendenti, che pure già hanno pagato dazio negli ultimi anni. «Il segmento bancario ha vissuto una trasformazione epocale negli ultimi anni, che però è ancora lontana dall’essere conclusa – aggiunge Pastore – Servirà ridefinire il modello di business cercando nuove opportunità, e il mercato ragionevolmente si dividerà tra chi avrà la forza di rimanere un colosso, chi si sposterà sempre più sulle nicchie offrendo diversi livelli di personalizzazione, e chi invece cavalcherà la digitalizzazione, magari in partnership con le neobanks o i fintech». La sfida della trasformazione, per le banche italiane, è insomma ben lungi dall’essere conclusa.