La Stampa, 26 agosto 2019
La corsa all’oro
La minaccia di una nuova recessione mondiale, la prospettiva di ulteriori tagli dei tassi di interesse e il desiderio di diversificare le riserve quando si impongono sanzioni o scoppiano le guerre commerciali: sono tanti i motivi che fanno brillare l’oro, le cui quotazioni a 1.537 dollari l’oncia sono tornate ai massimi dal 2013, e che secondo gli analisti sono destinate a crescere ancora. Anche l’argento va piuttosto forte a 17,42 dollari l’oncia.
Dietro la corsa all’oro non ci sono solo ragioni economiche in senso stretto ma anche economico-politiche. La Russia sta facendo incetta di lingotti per alleggerire le posizioni in dollari nel caso che ulteriori sanzioni colpiscano il suo accesso al sistema finanziario internazionale; anche la Cina accumula oro, per prepararsi a nuovi round della guerra commerciale con gli Usa. E pure altri Paesi emergenti stanno diversificando in questa direzione, discretamente, le rispettive riserve.
Senza scomodare la politica internazionale, ci sono poi ragioni più tecniche per i forti acquisti di oro in corso. Spiega Massimo Siano, analista e operatore a Londra nella compravendita di titoli e materie prime: «L’oro non dà rendimenti, ma in compenso è una moneta che non si può stampare. Estrarlo è un’attività costosa e a lungo termine, quindi non rischia di essere inflazionato. Invece, si sa che quando arriva la recessione le banche centrali reagiscono, prima o poi, stampando moneta, che si deprezza rispetto all’oro. Già adesso molti rendimenti obbligazionari sono sotto zero, e con la recessione possono scendere ancora, perciò l’oro è più che mai un bene rifugio, e io prevedo che crescerà ancora, a 1.600 dollari e oltre». Siano aggiunge: «Quanto alle valute, punterei sul franco svizzero». Nonostante sia già ai massimi? Non è rischioso? Siano ritiene di no: «Il rialzo del franco non è una fiammata speculativa, è un trend decennale, e con la recessione il franco sarà sempre più un bene rifugio». Per quanto riguarda le azioni, Siano consiglia «titoli difensivi, come le società multiservizio che garantiscono rendimenti alti e stabili, oppure un settore di nicchia come quello delle aziende aurifere».
Invece le prospettive delle obbligazioni sono legate alla maggiore o minore generosità dei nuovi programmi di «quantitative easing» che sono allo studio da parte delle banche centrali. Sui quali però Andrea Nascè, direttore Financial Advisory del gruppo Ersel, è piuttosto scettico: «La politica monetaria accomodante è sempre meno sexy, agli occhi dei mercati. Aggiungere un altro pezzettino di Qe non è molto attraente. Semmai, una vera svolta sarebbe se cambiassero in senso espansivo le politiche di bilancio, a partire da quella della Germania, che può permettersi di spendere, e che forse stavolta è intenzionata a farlo».
E le azioni? Mediamente sono care; su quali puntare? Nascè predilige «quelle legate ai grandi temi dell’alta tecnologia e della sanità», rispetto ai quali però, osserva con rammarico, «l’Italia non ha grandi campioni da offrire», anche se «società interessanti da questo punto di vista si trovano fra le Mid e le Small Cap di Piazza Affari».
Nascè conclude con le valute: «In Ersel teniamo in portafoglio un po’ di yen. Quando le cose si mettono male, i giapponesi liquidano posizioni all’estero e tornano a casa. Perciò, se arriva una recessione globale lo yen si rivaluta».