La Stampa, 26 agosto 2019
Il rastrellamento di Vinca
Tra il 24 e il 27 agosto 1944 le frazioni di Vinca, Equi Terme, Monzone, nel comune di Fivizzano, vengono travolte da una rastrellamento feroce condotto da un reparto tedesco della 16 Divisione SS-Panzergrenadier, comandato dal maggiore Walter Reder: siamo nell’alta Lunigiana, all’epoca zona remota delle Alpi Apuane, dove le case di pietra sono immerse tra i boschi e collegate da mulattiere.
Le vittime accertate sono 173, per la maggior parte donne, anziani, bambini: alcuni cadaveri vengono ritrovati decapitati, un feto viene strappato dal ventre della madre uccisa. Ufficialmente, all’origine della strage c’è la rappresaglia per un agguato partigiano compiuto nella zona una settimana prima, quando un automezzo tedesco è stato colpito e un ufficiale della Werhmacht è morto. In realtà, Fivizzano si inserisce in una drammatica scia di sangue che tra agosto e settembre 1944 colpisce l’Appennino tosco-emiliano: il 12 agosto Sant’Anna di Stazzema (Lucca), il 23 Padule di Fucecchio (Pisa), poi Fivizzano, per finire il 28 settembre a Marzabotto (Bologna): dovunque le stesse atrocità e gli stessi protagonisti, le SS della 16 Divisione.
Le spiegazioni vanno ben oltre la brutalità soggettiva di Reder e dei suoi uomini, perché nelle stragi naziste non c’è mai nulla di casuale e tutto si inserisce in una strategia mirata. Il punto di partenza è la primavera 1944: crollato il fronte a Cassino, evacuata Roma, le armate della Wehrmacht arretrano nel Lazio e nella Toscana cercando di rallentare l’avanzata angloamericana per il tempo necessario a costruire una nuova linea difensiva sull’Appennino tosco-emiliano, quella che verrà denominata la Linea Gotica (una serie di difese naturali e approntamenti militari che corrono da La Spezia a Rimini). I lavori della nuova linea di resistenza germanica sono tuttavia resi difficili dalla presenza di un ribellismo attivo e organizzato, che opera attentati e attacchi alle spalle delle truppe al fronte e che sembra destinato a crescere con l’avanzata degli Alleati. In molte località compaiono i cartelli di avvertimento «Achtung, Banditengefahr», che segnalano i limiti territoriali oltre i quali i movimenti delle truppe tedesche e fasciste sono a rischio per la presenza di bande.
Per il comando del generale Kesselring bisogna intervenire con decisione per «ripulire» da presenze partigiane i territori in cui si devono costruire le fortificazioni della Linea Gotica e bisogna intimidire la popolazione civile che si dimostra refrattaria se non ostile. Colpire a fondo, colpire in fretta, fucilare, incendiare villaggi. Di qui, una circolare del 17 giugno, firmata dallo stesso Kesselring, che garantisce l’impunità ai comandanti impegnati nella repressione per eccessi eventualmente commessi. E di qui, l’attivismo della 16 Divisione. Non si tratta di un reparto scelto (le truppe migliori vengono mandate al fronte contro gli Alleati): al contrario, si tratta di reparti indisciplinati, irrequieti, disordinati, non a caso destinati al «lavoro sporco» nelle retrovie, alla lotta contro la guerriglia e i civili. Lo stesso maggiore Reder è un «trombato», uno di quegli ufficiali che non hanno le doti per avanzare di grado in uno strumento efficiente come la Werhmacht: nazista sin dall’adolescenza, Reder proviene da quella piccola borghesia austriaca che passa dalla nostalgia asburgica a un’attesa impaziente di evasioni e rivincite, e che trova le risposte alle sue ansie nell’avventura hitleriana.
Soldati impreparati comandati da un ufficiale inadeguato sono una miscela esplosiva, in cui si mescolano il fanatismo nazista, la paura, l’ansia di vendetta, la sovrarappresentazione del nemico: essi rastrellano le Alpi Apuane convinti di dover fronteggiare un esercito alla macchia, anziché bande di poche decine di uomini male armati; appena sentono un rumore, sparano raffiche di mitra e lanciano bombe a mano; quando una porta sbatte spostata dal vento, usano il lanciafiamme e non importa se in casa bruciano bambini nella culla o anziani immobilizzati. La strategia di Kesselring guarda alla Linea Gotica come estremo baluardo difensivo del Reich a Sud, non importa quante vittime vengano sacrificate per «bonificare» il territorio: il risultato sono eccidi efferati destinati a penetrare profondamente nella memoria civile del nostro Paese.