la Repubblica, 26 agosto 2019
Olimpiadi 2020, tra asfalti speciali, gare all’alba e pillole elettroniche per le cavie
Non brucia solo il mondo, ma anche lo sport. A qualcuno (non) piace caldo. E così le grandi manifestazioni cambiano orario: o all’alba o di notte. Agli spettatori non resta che mettersi in pigiama, munirsi di thermos di caffè e di giacche refrigeranti. Tutte le federazioni internazionali stanno chiedendo al Cio di anticipare le gare all’aperto dei prossimi Giochi Olimpici. A Tokyo quest’estate in una settimana sono morte per il caldo 65 persone e 25 mila sono state ricoverate in ospedale. Stesso periodo olimpico, luglio devastante. 41 gradi e mezzo la temperatura registrata e un alto tasso di umidità (97%), che non ha lasciato scampo nemmeno a chi partecipava ai test event.
Alcune gare sono state soppresse, altre ridotte, perfino chi gareggiava nel triathlon, nuoto, ciclismo e corsa, si è lamentato del bollore. Atleti allenati per prove estreme, non turisti per caso. Alcuni sono stati portati in ospedale, la messicana (non norvegese) Cecilia Perez si è schiantata all’arrivo, la francese Cassandre Beaugrand è stata portata all’ospedale che pareva un manichino afflosciato. E la gara era stata accorciata. «Con l’acqua a 31° c’è un effetto cottura cocotte». Vale a dire: rosolatura e crogiolatura, come per l’arrosto.
Ha protestato anche il campione olimpico tunisino Mellouli: «Mai nuotato in acque così roventi, ti fanno andare in iperventilazione, e la gara era stata anche anticipata alle 7 di mattina». A Tokyo si gareggerà in pieno riscaldamento globale e con date che già fanno sudare: 24 luglio-9 agosto. Quest’anno termometro oltre i 31° per 24 giorni consecutivi. Il comitato organizzatore ha già preparato un testo di 33 pagine con l’elenco delle contromisure, si chiama «cooling project».
Prima norma rivoluzionaria: agli spettatori sarà permesso per la prima volta portare proprie bottiglie d’acqua, gesto finora proibito per questioni di sponsor. Secondo suggerimento: non saranno potati gli alberi, né tagliati i rami (anche se impediscono le riprese tv), in modo da avere più ombra. Terza ordinanza: verranno distribuiti avvisi (warning) con la tecnologia digitale, la strada della maratona verrà ricoperta da una resina speciale che riflette i raggi X e che riduce del 10% il surriscaldamento, anche i marciapiedi per il pubblico subiranno lo stesso trattamento, in più a tutti gli edifici dotati di aria condizionata verrà chiesto di lasciare usare il pianterreno agli spettatori per rinfrescarsi.
Takeo Hirata, professore e ricercatore universitario, special advisor per il governo giapponese, è l’uomo che supervisionerà la gara più importante del 2020, quella contro il caldo. Intanto è già partita la corsa all’anticipo: le acque libere chiedono la partenza all’alba (alle 5), lo start della maratona sarà alle 6, a suggerirlo è stata anche l’Associazione medici giapponesi. In più si parla di acqua nebulizzata da sparare in vari luoghi di gara, piogge refrigeranti, rifornimenti ogni 500 metri, tendoni con aria condizionata da usare come respiratori artificiali. Già l’anno scorso l’Associazione dei medici giapponesi era intervenuta segnalando che a Tokyo e dintorni erano state toccate punte di 46°.
Più fa caldo più i record si allontanano. Più che corsa alla qualità diventa gara di sopravvivenza. Studi scientifici dimostrano che nella maratona un termometro di 21° rallenta l’andatura di 19’ e a 27° si va mezz’ora più lenti (33’). Figuriamoci con 35 gradi. I grandi atleti africani ridotti a tartarughe accaldate. Ci sarà stato un motivo per cui nel 1964 il Giappone ospitò sempre a Tokyo i suoi primi Giochi Olimpici in pieno ottobre e non in estate. Sì pioveva, era umido, basta riguardarsi un po’ di foto: il marciatore azzurro Abdon Pamich su strade lucide, la volata dello sprinter americano Bob Hayes su una pista bagnata. Non grandi condizioni, ma nulla di pericoloso per la salute. Ma si sa ormai è uno sport globalizzato. In the heat of the night, nel calore della notte, cantava Ray Charles nel film La calda notte dell’ispettore Tibbs. I prossimi Mondiali di atletica a Doha in Qatar, i primi nel Medio Oriente, si annunciano come pigiama-party. Gare in notturna. A fine settembre e ad inizio ottobre la temperatura media è di 37 gradi. La maratona partirà a mezzanotte (anzi alle 23,59) e arriverà dopo le due in uno scenario metropolitano vampiresco. La 20 km di marcia alle 23,30, alcune gare del decathlon a mezzanotte e mezza. Speriamo in un’offerta di caffè per gli spettatori. Gli atleti sulle lunghe distanze invece faranno da cavie per lo sport prossimo venturo: saranno monitorati da una pillola elettronica da 1,7 grammi che registrerà la loro temperatura interna e darà dati alla Iaaf (federazione internazionale di atletica). La capsula è progettata per attraversare il tratto gastrointestinale ed essere espulsa dal corpo tra le 12 e le 48 ore. Darà fondamentali informazioni riguardanti i parametri biologici degli atleti. È un dispositivo offerto dall’Università di Brighton, ma la Iaaf dice che la pillola-sensore che verrà usata a Doha, dell’azienda francese Bodycap, non fornisce dati in tempo reale e quindi in questo caso non può prevenire la disidratazione o i colpi di caldo. Però può studiarli in previsione Tokyo 2020 o se la prossima destinazione dello sport sarà in qualche città-sauna da 50 gradi. Con un poco di zucchero, la pillola andrà anche giù. Ma tornerà anche su a chi legge quell’esagerato di Orwell.