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 2019  agosto 26 Lunedì calendario

Le tre vite di Mario Pirani


La famiglia borghese ebraica, la tragedia delle persecuzioni razziali («Rimasi per ore chiuso in un armadio nella chiesa: l’abbaiare dei cani lupo, le raffiche di mitra, quei rumori sono impressi per sempre nella mia mente»), gli anni da funzionario del Pci, quelli da dirigente dell’Eni, poi il lavoro come giornalista a Repubblica. Non era facile riassumere la vita di Mario Pirani, non a caso il regista Irish Braschi ha intitolato il documentario che gli ha dedicato L’uomo che visse tre volte. Sarà presentato in anteprima il 13 settembre al 5° Festival internazionale del documentario “Visioni dal mondo, immagini dalla realtà”, l’appuntamento con il cinema del reale che si terrà a Milano dal 12 al 15, direttore artistico Fabrizio Grosoli; in programma incontri, proiezioni aperte al pubblico e ospiti, tra i tanti Wilma Labate, Lorenza Indovina, Gianfranco Pannone, Matilde Gioli, con gli eventi ospitati al Teatro Litta e al Museo nazionale scienza e tecnologia “Leonardo da Vinci”.
Pirani è un testimone del Novecento (nato nel 1925, è scomparso nel 2015), la sua storia s’intreccia con i grandi cambiamenti dell’Italia. Completo anni 30, la valigia piena di foto e ricordi, Neri Marcorè è l’alter ego del giornalista. «Ho conosciuto Mario, ne apprezzavo l’ironia e l’acume, con lui e Corrado Augias abbiamo condiviso bei momenti» racconta l’attore, «non c’è stata la necessità di interpretarlo, il racconto è fatto di sguardi e suggestioni. Ho capito che il vissuto nelle due vite precedenti si riversava nella terza: il lavoro di giornalista non era frutto di elucubrazioni, nasceva dalle esperienze all’interno del Pci, poi da dirigente dell’Eni. Era un uomo con una una marcia in più».
«Uno degli amici più cari della mia vita»: così il presidente emerito Giorgio Napolitano definisce Pirani. «Un’amicizia iniziata all’indomani della liberazione di Napoli, c’era da dare le prime risposte per la ricostruzione» spiega Napolitano. «Mario era un uomo molto colto che conosceva anche i testi dell’ideologia ma con un’agilità di pensiero che andava al di là di ogni schema ideologico». Dopo l’attentato a Togliatti l’Italia rischia il caos. Pirani, che lavora al settore propaganda del Pci, chiede di andare a una federazione a Venezia. Si sposa, nascono i figli Paolo e Federica. Abita in una casa di due stanze mal riscaldata, il padre gli consiglia di andare all’Hotel Cavalletto, che era di un suo amico. Sì all’albergo «ma non avrei accettato di consumare i pasti nel ristorante, l’onore di comunista era saldo».
Nel 1952 il partito lo richiama a Roma. L’addio a Botteghe Oscure è tormentato, l’amico Giorgio Ruffolo lo chiama all’Eni al fianco di Enrico Mattei. Missioni in Algeria, poi a Tunisi «un compito tra l’agente segreto e l’ambasciatore». Quando Mattei nel 1962 muore in un incidente aereo, Pirani lascia l’Eni, inizia la terza vita.
L’arrivo a Repubblica è raccontato dal fondatore Eugenio Scalfari: «Repubblica fu fondata nel ‘76, la nostra idea era di fare un giornale ed era una rivoluzione rispetto ai quotidiani di allora, piccola com’è adesso. Pirani si presentò da me: “Sono il direttore, condirettore del Globo, quindi sono un giornalista soprattutto economico. Eccomi qua”. “Guarda” spiegai, “ho già chi dirige il settore economico nella mia testa e l’ho già interpellato. Tu potresti stare alle dipendenze?”. “No” mi rispose “sto solo alle dipendenze del direttore. Se tu mi vuoi, mi metti a capo del settore e mi nomini vicedirettore”. “A me non piacciono i vicedirettori: tu sei il capo del settore. E partimmo cosi». Repubblica nasce il 14 gennaio 1976, in un filmato dell’epoca Scalfari dice: «Saremo il giornale della sinistra italiana ma anche un giornale scomodo per la sinistra italiana». «Girando il documentario» spiega il regista «ci siamo accorti che tutti conoscevamo un po’ Pirani: per Repubblica, gli anni nel Pci e l’esperienza all’Eni. Tre vite. Come per il biopic su Dacia Maraini, ti rendi conto che hanno vissuto pagine di storia con la s maiuscola. Mi ha affascinato il periodo da “funzionario di partito”, una figura mai capita fino in fondo. Raccontiamo un lungo viaggio, Mario è il ragazzino felice che arrivava in laguna, come scrive nell’autobiografia Poteva andare peggio. Il Festival del documentario è importante perché fotografa la realtà e recupera la memoria».
«Che cosa impareranno i giovani? Qualcuno potrebbe riflettere sulla politica, che veniva masticata quotidianamente nelle sedi di partito» aggiunge Marcorè, «allora non aveva un’accezione negativa. L’epoca di Pirani era l’epoca di Moro e Berlinguer».