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 2019  agosto 26 Lunedì calendario

Prove di alleanza: i grillini chiedono il voto

«Tassativo, come ha sempre detto Luigi: mai con il partito di Bibbiano. Ma perché non consultate noi elettori?». L’appello, proprio sotto un post di Luigi Di Maio, prende una valanga di like e dà il segno del clima. Votare, in teoria, non è mai un male. È la democrazia. Ma le cose non sono così semplici. E soprattutto nel caso dei 5 Stelle, il voto su Rousseau è evocato, attivato e modulato con tempi e modalità diverse a seconda dei risultati attesi dai vertici. Ora nel Movimento è in corso una battaglia feroce per decidere se la nuova potenziale alleanza con il Pd debba finire o meno al vaglio della Rete e se debba finirci anche il nome del premier.
Il precedente che spingerebbe a tornare al voto c’è. È il 18 maggio 2018 quando la base dà il via libera all’alleanza con la Lega, approvando il contratto di governo con una maggioranza schiacciante di sì: il 94%. Allora, però, il voto fu preceduto da un lungo lavoro di cesello sul contratto, il patto fondativo dell’accordo e nessuno dubitava che ci sarebbe stato un sì. Più che una consultazione fu un plebiscito. E spesso Rousseau è stato usato in questa logica. L’ultima il 30 maggio, quando Di Maio, dopo la sconfitta alle Europee, chiese un giudizio sul suo operato con quella che nei tribunali si chiama domanda suggestiva (nel senso che suggerisce la risposta): «Confermi Luigi Di Maio come capo politico del Movimento 5 Stelle?». L’80% disse sì. Altre vote le domande sono state più volutamente confuse. Come al voto sul processo a Matteo Salvini. Si votava sì per salvare Matteo Salvini dal processo. No per concedere l’autorizzazione a procedere. Persino Beppe Grillo ironizzò: «Se voti sì vuol dire no. Se voti no vuol dire sì. Siamo tra il comma 22 e la sindrome di Procuste».
Il precedente
L’accordo con la Lega passò dalle urne virtuali: a dire sì fu il 94% dei votanti
Il momento è delicato. La base ribolle. Il sospetto che non appoggi la svolta è forte. Basta leggere i social: «Andate con il Pd dopo che li avete massacrati per anni? Siete ridicoli». «Inciuciate con il Pd? Ci avete preso in giro, consultate gli elettori». In realtà il Movimento ha 11 milioni di elettori, ma gli iscritti a Rousseau sarebbero solo 100 mila. Condizionale d’obbligo, perché nella rete del Movimento la trasparenza è un optional. Non si sanno gli aventi diritto e men che meno i nomi. Il tutto non certificato da un ente esterno. Comunque sia, sentire la base oggi è un rischio, se si vuole davvero fare l’alleanza con il Pd. Per questo, tra i fautori dell’appello al popolo ci sono alcuni big che vedono l’alleanza come il fumo negli occhi: Gianluigi Paragone, Paola Taverna e Massimo Bugani, molto vicino a Casaleggio. Più cauti, invece, Carla Ruocco e Roberta Lombardi. Molto contrari alcuni deputati che si sono espressi nell’assemblea del 20 agosto.
La scelta del premier
Per i vertici solo il nome di Conte nel quesito potrebbe portare a un esito favorevole
Praticamente tutte le votazioni su Rousseau sono andate come volevano i promotori dei quesiti. Solo una fu una clamorosa sconfessione, nel gennaio 2014, quando 16 mila iscritti votarono per l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, contravvenendo alle indicazioni di Grillo e Casaleggio. Un unicum. Che però rischia di ripetersi. Per questo ora si evoca il voto e si puntano gli occhi su Di Maio. Per capire se quest’accordo lo vuole davvero. Ma per capirlo bisognerà vedere quando andare su Rousseau. E se andarci con un quesito che contenga il nome del premier. Per i vertici, il via libera ci sarebbe solo se ci fosse il nome di Giuseppe Conte. Difficile dire se sia vero. Quel che è certo è che l’aria che tira sui social è di rabbia virulenta. Tra i commenti, uno li rappresenta tutti: «Siete dei venduti e fate parte della stessa casta che dovevate demolire. Godetevi questi tre anni di stipendi, poi preparate la lapide per il movimento. #disonestà».