il Giornale, 24 agosto 2019
Peppa Pig vale 4 miliardi
Un mancino saprebbe disegnarla con la mano destra. E il segreto del successo forse sta proprio lì: la guardi, la maialina cartoon che, quanto a conto corrente, non ha nulla da invidiare a un Rockefeller, e ti domandi cos’abbia di tanto speciale, questo personaggio rudimentale nella grafica, nell’animazione, nei dialoghi che i bambini d’Occidente ascoltano dal 2004.
Cambia casa, Peppa Pig: lei che ha una vita e una storia semplici solo in apparenza. Per il trasloco, però, c’è chi paga 4 miliardi di dollari (3,6 miliardi di euro). Hasbro, la grande società statunitense produttrice di giocattoli, ha annunciato di averla acquistato per 3,3 miliardi di sterline (4 miliardi di dollari, appunto) da Entertainment One, la società che detiene i diritti del suo cartone animato. La multinazionale Entertainment One, che ha sede in Canada, fondata nel 1970, ha prodotto negli anni decine di film, serie tv e cartoni animati di successo: ma non sarebbe mai andata così lontano, senza la maialina rosa shocking. I creatori del personaggio? Astley Baker Davies, ovvero studio di animazione fondato nel 1994 che sorge a Londra. Nato da un’idea di 3 amici inglesi che erano conosciuti in un istituto politecnico, Peppa è stata tradotta in più di 40 lingue (per 180 Paesi), e solo cinque anni fa aveva portato a casa 850 milioni di euro.
E pensare che in Cina Peppa Pig è bandita. Comportamenti e discorsi troppo «sovversivi», secondo le autorità della patria di Confucio. All’inizio dello scorso anno, infatti, molti cittadini cinesi si erano accorti della scomparsa delle clip con Peppa, puntuali nel weekend. In un attimo, erano spariti i 30mila episodi. Perché mai? Troppo spesso, quei personaggi sornioni dal design tarato sulle capacità illustrative della seconda elementare, avrebbero «alimentato, nei giovani, una sottocultura ostile ai valori del Partito comunista cinese, fino ad allontanarli dai valori centrali del socialismo». In compenso, nel Regno Unito le hanno costruito un parco a tema: il Paultons Park. A un passo da Southampton, il parco divertimenti è l’unico al mondo dedicato a Peppa e ai suoi amici. C’è perfino chi sostiene che, nel character design strategicamente geometrico della famiglia Pig, si annidi un richiamo agli ideali di fraternità e uguaglianza di preciso impianto massonico.
Peppa Pig e la sua brigata sono vestiti con indumenti umani; gli adulti, tra loro, guidano mezzi di locomozione e portano i loro animali (quelli senza i vestiti) dal veterinario: ma non nascondono mai di essere animali a loro volta, e guai ad avviare una conversazione senza un bel grugnito. È il marchio di fabbrica: siamo urbani, ma pur sempre noi stessi. Tormentone del cartoon (e del merchanidising di giocattoli che gli ruota intorno): «tutti amano saltare su e giù nelle pozzanghere di fango». Tutti amano sporcarsi, trasgredire gioiosamente, e con la grazia di una vera star.
Ma i personaggi del cartone animato si guadagnano da vivere in edifici costruiti in cima a una collina (salvo la famiglia dei conigli, che preferisce una tana ad hoc). I bambini hanno imparato che le colline sono impervie, e un piccolo fuoristrada non guasta mai. E non c’è episodio che non si concluda con una «risata di massa» che pone fine ai capricci: i fiumi di lacrime, zampillanti e orizzontali, dei personaggi più piccini: vivranno per sempre felici e contenti? Se Suzy Pecora, che procura a Peppa i più struggenti grattacapi, resta la sua migliore amica per dieci anni, lì dove il tempo non passa mai, il messaggio è che vive bene chi vive in pace. L’altro messaggio e lo sa bene Hasbro, che esborsa 4 miliardi per tutto questo è che il business, tutto sommato, può essere una cosa semplice.