la Repubblica, 24 agosto 2019
Depardieu scegli Maigret
Gli amici che si possono trovare in un romanzo sono quelli più fedeli. «Non ti tradiscono, non ti abbandonano» dice a Repubblica Gérard Depardieu parlando del commissario Maigret, «l’amico di una vita che mi accingo a impersonare in un nuovo film». Sarà la prima volta dell’attore francese nei panni del personaggio creato da Georges Simenon. Il regista Patrice Leconte ( Ridicule, L’uomo del treno, Confessioni troppo intime) comincerà a dirigere tra novembre e dicembre le riprese di Maigret e la giovane morta, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo, la cui colonna sonora sarà firmata dal compositore inglese Michael Nyman.
Depardieu è appena rientrato a Parigi dopo un viaggio in Libano e in Tunisia per uno spettacolo di tributo alla cantante e amica Barbara. Dall’aeroporto Charles De Gaulle fino a casa nel sesto arrondissement ci è arrivato in scooter. Tempo di togliersi il casco e ha subito iniziato a raccontare del suo Maigret. Oltre che dei nuovi film di cui è protagonista: Thalasso di Guillaume Nicloux e Fahim di Pierre-François Martin-Laval, presentato ieri in anteprima al festival del film francofono di Angoulême.
Depardieu, che cosa le piace di più del personaggio di Jules Maigret?
«L’ho sempre amato molto. È una figura tipicamente francese, un uomo di polizia vecchio stampo con una grande umanità, una persona che sento amica, molto vicina a me, con un carattere e un modo di fare che ammiro. Mi piace il suo istinto, la sua capacità di ascolto. Mi piace come si muove tra la gente e come si comporta in casa. Il rapporto con la moglie, il suo interesse per i piatti succulenti che lei amorevolmente gli cucina.
Conosco lo straordinario valore letterario dell’opera di Simenon e dunque sono molto felice di salire a bordo con Leconte in questo viaggio».
Quali aspetti della sua personalità le piacerebbe mettere in evidenza nel film?
«Maigret è anche il suo silenzio. E in questa sua dimensione ritrovo molto di me oggi e del mio desiderio di quiete, di solitudine.
Leconte saprà valorizzare questo suo lato. Il silenzio non ha bisogno di battute, parla da solo, ma l’attore deve entrarci dentro, deve sentirlo suo per interpretarlo nel miglior modo possibile.
Qualcosa di analogo accade nella musica. Riccardo Muti nel “Requiem” di Giuseppe Verdi sa trasformare il silenzio in qualcosa di enorme, in un’espressione profondamente musicale.
Simenon fa parlare Maigret anche con i suoi silenzi».
Scavando nella sua carriera si trovano però dei piccoli precedenti legati al celebre commissario. Che ricordi ha di questi trascorsi?
«Mi diedero una piccola parte quand’ero giovane accanto a Jean Richard, che ha impersonato secondo me magistralmente Maigret. Parliamo della seconda metà degli anni Sessanta. Portavo la barba a quel tempo. Si trattava di un episodio della serie televisiva Les enquêtes du commissaire Maigret, molto popolare in Francia. Ricordo la scena che girammo in barca al largo dell’isola di Porquerolles, con Richard che fumava la pipa».
Gino Cervi è stato il Maigret italiano. Che cosa pensa della
sua interpretazione?
«È stato un grande attore, non solo un ottimo Maigret. È stato quel tipo di attore di cui si sente la mancanza oggi, come fu Mastroianni, popolare e intelligente, sensibile e spiritoso».
In “Bellamy”, del 2009, ha interpretato un ispettore di polizia ispirandosi a Maigret.
«Sì, Claude Chabrol ed io avevamo Maigret in testa. E il cinema di Chabrol e quello di Leconte si assomigliano.
L’ispettore Bellamy come Maigret ha lo stesso modo tranquillo di porsi.
Danno valore al silenzio. Sono pagine vuote che accolgono le parole degli altri.
Con Maigret e la giovane morta spero di fare un vero film poliziesco. Non mi piacciono quelli di Tarantino. C’era una volta a... Hollywood è una merda totale.
Tutto azione e basta.
La gente vuole questo ai tempi di internet.
Ma sono prigionieri della rete e di questi social. La vita è fuori».
Dei mali del nostro tempo si parla anche in “Thalasso”, il film uscito adesso in Francia dove recita con lo scrittore Houellebecq. Com’è stato girare insieme?
«Non è stato lavoro, ma puro piacere.
Michel è incredibile.
Molto divertente. Ci siamo chiusi in questo hotel in Normandia dove c’è un centro di talassoterapia e abbiamo parlato di sesso, filosofia, dio, morte, desiderio. Il film è fatto da tante situazioni in cui ci siamo confrontati liberamente bevendo del vino. Ricorda un po’ il cinema di Marco Ferreri, i discorsi tra Tognazzi, Mastroianni, Noiret e Piccoli, è una specie di La grande abbuffata
ma senza quella storia».
Qual è invece la storia di “Fahim” presentato ad Angoulême?
«Un ragazzino arriva con la sua famiglia dal Bangladesh. Da migranti e rifugiati affrontano mille traversie per ottenere l’asilo politico. Fahim ha un talento per il gioco degli scacchi. Il personaggio che interpreto, Sylvain, è uno dei migliori esperti e insegnanti di scacchi in Francia. Fahim diventerà campione nazionale. È una bella storia di integrazione e di speranza».