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 2019  agosto 24 Sabato calendario

Lo scienziato, che studia i macachi per curare i ciechi, preso di punta dagli animalisti. Vive sotto scorta

«Tutto è iniziato con la falsa notizia sull’accecamento dei macachi. Poi dagli insulti social si è passati a minacce e aggressioni. Non mi aspettavo di aver bisogno della Digos per fare il mio lavoro». Marco Tamietto, professore ordinario di Psicobiologia all’Università di Torino, da qualche mese vive sotto scorta. È finito nel mirino degli animalisti perché, nella sua decennale ricerca sui pazienti resi ciechi dalle lesioni alla corteccia cerebrale, ha avviato una sperimentazione sugli animali, i macachi in particolare, cui «è prodotta una macchia cieca, circoscritta ad una zona di pochi gradi del campo visivo e limitata a un solo lato». Lui chiarisce che «l’animale resta in grado di vedere, spostarsi e interagire con i suoi simili», eppure gli animalisti, che hanno anche incontrato la ministra della Salute Giulia Grillo per chiedere lo stop del progetto, protestano.
Giovedì una busta con un proiettile e una lettera anonima di minacce è stata recapitata nell’ufficio di Tamietto. «È stata un’escalation», racconta il ricercatore, che ieri ha ricevuto la solidarietà della ministra, della sindaca di Torino, Chiara Appendino, e della senatrice a vita Elena Cattaneo.
Come è iniziato tutto questo?
«A giugno la Lega antivivisezione ha lanciato una petizione per fermare il nostro lavoro che ha presentato in modo falsato la sperimentazione. Ne è nata un’attenzione pubblica enorme. Manifestazioni in ateneo, minacce e ingiurie sui social. Il passaggio è stato rapido. E va peggiorando: mi hanno seguito e aggredito per strada, ora addirittura il proiettile».
Non si può evitare questa sperimentazione sugli animali?
«In questi 15 anni abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare con sperimentazioni sui pazienti per cercare di curare chi è cieco per un danno al cervello. Sappiamo che restano capacità visive inconsapevoli, che vogliamo attivare per il recupero delle funzioni visive.
Ma è necessario studiare questi meccanismi anche a livello di cellule e in tempo reale. È concretamente possibile solo sull’animale, e il macaco è l’unico che garantisce un’omologia sufficiente con l’uomo».
Limitarne la vista è indispensabile?
«In questo momento per alcuni obiettivi di conoscenza e cura la sperimentazione animale è indispensabile. La valutazione costibenefici per la salute è stata fatto dagli organi indipendenti che hanno autorizzato la ricerca. Il progetto è finanziato dall’European research council, gli aspetti scientifici ed etici sono stati valutati dal comitato etico Ue, dall’organismo per il benessere animale dell’università, dal ministero della Salute e dal Consiglio superiore di sanità. E tutti ne hanno riconosciuto il valore».
I macachi soffrono?
«I maltrattamenti sugli animali sono perseguiti penalmente, la normativa italiana è la più restrittiva d’Europa e noi la rispettiamo puntualmente».
Perché allora gli animalisti insistono?
«Sono certo che molte persone siano mosse da istanze morali anche legittime che condivido. Chi anima iniziative pubbliche dovrebbe però farlo nel rispetto delle persone e dei fatti. Delegittimare la ricerca e i ricercatori, indicarli come obiettivi da contrastare o denigrare, presentare la sperimentazione animale come l’inutile crudeltà di alcuni sadici porta responsabilità, queste sì, morali, e non fa neanche un buon servizio alla causa. Mi chiedo quante persone dieci anni fa ritenessero che la terra fosse piatta e i vaccini uno strumento delle multinazionali del farmaco».
Quante?
«Credo molte meno di oggi. C’è stata una perdita di valore del concetto di competenza. Oggi l’importante è avere un’opinione, anche disinformata. Sviluppare un pensiero critico non serve perché bisogna spararla più grossa e più in fretta possibile. È la cultura del complotto.
Sono le radici culturali da cui può anche nascere una deriva violenta».
La sua vita è cambiata?
«La mia, ma anche quella di colleghi e collaboratori. Sono sorvegliato dalla Digos nei miei spostamenti, devo comunicarli prima e loro si occupano della sicurezza».
È pentito di aver portato avanti la sua ricerca?
«No. Sono convinto sia indispensabile farla e farla così. Ci aspettavamo polemiche, non i toni e la violenza che si è creata».
Si attendeva un atteggiamento diverso dalla ministra Grillo?
«Mi aspettavo che tutelasse i ricercatori e rivendicasse la decisione di autorizzare gli studi. Gli atenei di Torino e Parma, e in particolare il rettore Gianmaria Ajani, ci hanno supportato e le hanno spiegato come stavano le cose. Io non ho mai avuto contatti con lei, ma so che ha ricevuto gli attivisti Lav e ha consegnato loro tutti i documenti sul progetto, compresi i nomi di chi partecipa alla sperimentazione. L’ho appreso da un nota stampa Lav e non dal ministero, che in passato aveva sempre risposto in modo equilibrato, bilanciando il principio di trasparenza e la tutela della privacy di persone».