Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 23 Venerdì calendario

Animali tra gli animali. La storia dei due pastori pagati 70 cents l’ora costretti a bere l’acqua dei maiali

Mangiavano soltanto una volta al giorno e, per bere, usavano l’acqua dei maiali. Dormivano in una stanza «sudicia all’inverosimile»: escrementi e insetti dappertutto. Più volte, invano, avevano provato a chiedere una sistemazione migliore e un aumento di quella paga da fame, di settanta centesimi all’ora. Soldi che mandavano alle famiglie, rimaste nei paesi d’origine.
«Vivevano come animali tra gli animali», in quelle campagne della murgia barese isolate e spesso difficili da controllare. Vittime due pastori: un ragazzo del Mali di 27 anni e uno del Ghana di 32. Ridotti in schiavitù, forse anche picchiati, da quegli allevatori che si facevano chiamare «padroni». Sapevano che erano disperati e avrebbero accettato di tutto. Niente ferie o riposi e un lavoro di 12 ore al giorno, dall’alba al tramonto, in quell’impresa agricola e di allevamento di Poggiorsini con oltre cinquecento capi di bestiame. Una tregua di massimo mezz’ora e poi si ricominciava: pascolo, mungitura e pulizia delle stalle senza aver mai fatto una visita medica che ne accertasse lo stato di salute psico-fisico per quell’incarico.
Uno era lì dal 2015: una volta, armato di coraggio, era andato via. Poi, non trovando nulla di meglio, era stato costretto a tornare. E a quel punto gli erano state imposte condizioni persino peggiori. L’altro aveva iniziato in quell’azienda da qualche mese. Entrambi con il permesso di soggiorno scaduto e moglie e figli da mantenere in Africa.
Manodopera che non costa niente, in estremo bisogno, a cui «il datore di lavoro, agendo direttamente o per mezzo del suo familiare, aveva imposto le sue volontà». La scoperta, durante uno dei controlli della task force – coordinata dal capitano Emanuele D’Onofri – nata proprio per contrastare l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro su tutto il territorio provinciale. Sono stati i carabinieri a trovare i due immigrati impiegati in nero, che vivevano in un alloggio fatiscente e in cattive condizioni igieniche, e arrestare i due titolari: il padre, un pregiudicato di 53 anni, e il figlio di 24. E questo non è il primo caso. Solo nell’ultimo mese, altri arresti. Sempre in questa zona, sempre per questa forma di caporalato sommerso che – oltre ai braccianti agricoli – coinvolge i pastori. «È un sistema più diffuso di quello che pensavamo», ammettono i militari, impegnati in controlli a campione che stanno coinvolgendo realtà strutturate e con un impatto economico sul territorio non indifferente. «Il latte che arriva sulle nostre tavole sotto forma di formaggio o mozzarella è il latte che mungono queste persone. A queste condizioni».
Se per i braccianti, paradossalmente, esiste una stagionalità nella quale intensificare i controlli e luoghi e orari più o meno noti, per i pastori sembra essere ancora più complicato: sono completamente isolati e la loro vita è tutta in queste contrade immense e difficili da scovare. Dove accade di tutto. Anche frustati, come bestie. «Sappiamo per certo che alcuni subiscono violenze. Ci è capitato di vedere delle strisce perpendicolari lungo la schiena». E si teme anche per le loro condizioni di salute: tubercolosi o malattie infettive sono facilmente contraibili per chi vive in questo stato. Pochi, però, trovano il coraggio di denunciare. «Se come in questo caso, hanno il permesso di soggiorno scaduto – spiega per la Flai Cgil Anna Lepore – fanno più fatica ad uscire allo scoperto, cercare il sindacato o le forze dell’ordine. Accettano questa situazione perché hanno bisogno di un posto dove stare e guadagnare, anche una miseria. Ma sopravvivere».—