Corriere della Sera, 23 agosto 2019
Intervista a Giovanna Cristina Vivinetto
WIMBLEDONX
Quando risponde al telefono dalla sua casa romana, Giovanna Cristina Vivinetto si è svegliata da poco. È quasi mezzogiorno e ha passato parte della notte a guardare Il racconto dell’ancella, la serie tratta dal romanzo di Margaret Atwood. Nata come Giovanni nel 1994 a Siracusa, laureata in Filologia moderna alla Sapienza, Vivinetto domani sera riceverà il premio Viareggio Opera prima per la raccolta poetica Dolore minimo che Interlinea ha pubblicato nel maggio 2018 nella collana «Lyra giovani» curata da Franco Buffoni, con una presentazione di Dacia Maraini. Un romanzo in versi che è la storia del transito da un’esistenza a un’altra, da Giovanni a Giovanna, «dalla morte di un sé che non poteva essere alla nascita di un sé che lotta per realizzarsi nella pienezza» come scrive, nella postfazione, Alessandro Fo.
Il libro, e Giovanna, sono stati al centro di molte polemiche, a partire dall’attacco dell’associazione ultra cattolica Pro Vita. Dibattiti, critiche, lodi: tutto ha contribuito al successo del libro, giunto alla terza edizione, con oltre tremila copie vendute, molte per un mercato che mobilita un numero limitato di lettori.
Gli attacchi personali le hanno fatto male?
«Non più di tanto perché io sono nata così. È come se mi criticassero per il colore dei capelli. Essere transessuale non può essere una colpa, un pretesto per il bullismo. Con chi ti critica per come sei non c’è confronto. Hanno detto di tutto: che sono stata il burattino di un progetto costruito a tavolino dall’editore, o manipolata dalle lobby gay. Ma dopo l’attacco di Pro Vita sono stata travolta, anziché dall’odio, dalla solidarietà. E il libro è andato subito esaurito».
Il fatto che il libro potesse avere una grande eco, anche per il tema che tratta, però lo aveva messo in conto...
«Penso che chi scrive non possa mai prescindere dalla propria storia. Può rielaborarla, sublimarla, può parlare di quello parlando d’altro, ma ciò che vivi viene sempre a chiederti il conto. Ho scritto Dolore minimo abbastanza rapidamente, in due anni. E ora mi rendo conto di come, su certe scelte, sia stata un po’ ingenua. Certo, sono consapevole che la mia storia ha avuto il suo peso sulla ricezione dell’opera. Però quando Franco Buffoni lesse le mie poesie la prima volta non aveva nemmeno capito che parlavo di me. E il termine transessuale nel libro ricorre due volte, la prima dopo 70 pagine. Non è una cosa esibita, però certo la storia è quella e sarebbe stupido nasconderla».
C’è chi, in rete, lo ha definito un libro mediocre che ha avuto successo solo per la singolarità della vicenda.
«La cosa che mi ha stupito è che le critiche maggiori le ho ricevute dai miei coetanei. C’è chi ha parlato di “nenia autocentrata che fa ricorso al patetismo”. Io non lo so, è tutto legittimo. Ma molti grandi poeti lo hanno apprezzato. Cesare Viviani mi ha scritto una bellissima lettera in cui dice che il mio libro “raggiunge i più alti livelli dell’espressione poetica, in assoluto”».
Il successo del libro ha anche suscitato l’interesse dei grandi editori.
«Dopo poco più di un mese ho avuto una proposta da Rizzoli, per pubblicare il prossimo libro nella Bur. Dovrebbe uscire nella primavera 2020».
Come l’hanno presa a Interlinea?
Le polemiche
Dicono che ho sfruttato la mia storia, ma come si riesce a prescindere da sé stessi?
«Eh... sono stata un po’ avventata: ho firmato il contratto senza consultarmi con l’editore che infatti è rimasto un po’ male. Poi si è reso conto che tutto quello che potevano fare l’avevano fatto e ci siamo chiariti. A loro devo tantissimo, la qualità delle loro edizioni è altissima e hanno fatto un grande lavoro».
Sarà autobiografico?
«Soltanto nella prima sezione del libro, un po’ per chiudere il discorso del precedente. Le altre poesie affronteranno altre tematiche. Spero di essere all’altezza, confesso di essere un po’ spaventata. Però sono prove che bisogna affrontare».
Di prove difficili ne ha affrontate nella sua vita.
«Paradossalmente mi mette più ansia qualcosa per cui devo dimostrare le mie capacità, rispetto a qualcosa per cui sono nata così. So che in molti mi aspetteranno sulla riva del fiume».
Ha fatto moltissime presentazioni: più di cento. Qual è la cosa che le chiedono più spesso?
«Come è stato vivere la mia transessualità a Floridia, il paesino siciliano dove sono cresciuta. In realtà è stato semplice: ho sempre avuto intorno, sia in famiglia che fuori, persone intelligenti che non mi hanno mai discriminato».
La poesia è sempre stata una sua passione?
«Fin dal liceo: amavo i pezzi grossi, Leopardi, Foscolo. Quindi scrivevo un po’ sull’imitazione di questi grandi modelli, cose di cui mi vergogno abbastanza. Quando ho scritto Dolore minimo stavo leggendo Wislawa Szymborska».
Alessandro Fo nella postfazione scrive che sente i suoi versi vicini alle «Lettere di compleanno» che Ted Hughes scrisse per Sylvia Plath.
«Che io non ho ancora affrontato, anche se ho Sylvia Plath sul comodino».