Corriere della Sera, 23 agosto 2019
Tim Cook ricorda Giovanni Buttarelli
Cinquant’anni esatti dopo il giorno in cui fu firmata la Dichiarazione di indipendenza, mentre una giovane America stava celebrando il 4 luglio, due dei suoi Padri fondatori e primi presidenti, John Adams e Thomas Jefferson, morirono a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Durante l’elogio dedicato ai leader di una nazione che era ancora alla ricerca della propria identità, il grande oratore americano Daniel Webster disse: «Solo una piccolissima parte di ciò che è grande e buono può morire! Per il loro Paese sono ancora vivi, e lo saranno per sempre».
Questo è ciò che provo per Giovanni Buttarelli. Ma chi sono in verità i suoi concittadini? Era certamente un motivo di orgoglio per l’Italia. Senza dubbio è stato un «gigante» dell’Europa. Ma lo sforzo più grande della sua vita, Giovanni lo ha compiuto come pioniere determinato e visionario di un mondo digitale ancora giovane e non regolamentato.
Nelle sue distese, vedeva opportunità illimitate di miglioramento per gli esseri umani. Nei suoi eccessi, vedeva battaglie che valeva la pena di combattere e un ordine migliore in attesa di nascere. Lascia noi tutti in condizione di essere migliori difensori dei nostri stessi diritti, migliori promotori di una tecnologia etica e migliori cittadini di una società digitale in via di maturazione.
Ho incontrato Giovanni per la prima volta a novembre del 2015 a Milano. Chi lo conosceva non si sorprenderà se dico che ha iniziato poco dopo a interrogarmi. Perché un executive di un’azienda tecnologica americana parla così liberamente di privacy e crittografia ( ndt protezione) dei dati in un momento in cui tutti gli altri sembrano muoversi nella direzione opposta? Di certo non l’ho biasimato per avermelo chiesto.
Dopotutto il suo ruolo richiedeva un forte scetticismo. Ma ho trovato il suo essere appassionato, la sua verve e il suo senso dell’umorismo completamente disarmanti, e ci siamo resi conto durante quella prima conversazione di quanti punti di vista avessimo in comune. Abbiamo deciso di incontrarci ancora, cosa che abbiamo fatto diverse altre volte.
Nonostante fosse un leader incaricato, fra l’altro, di supervisionare l’applicazione della legge più radicale in materia di privacy dei dati nella storia, Giovanni trovava comunque tempo per tutti. Non era una di quelle persone che si dedicano esclusivamente ai politici più importanti e ai leader industriali. Era molto amato da tutte le persone a tutti i livelli della sua organizzazione, e la sua scomparsa ha colpito profondamente le molte persone di Apple che lo conoscevano e avevano lavorato con lui. Suscitava non solo un grande rispetto, ma una sorta di profondo affetto e ammirazione che i leader di oggi ottengono raramente.
Tale affetto è stato il risultato di oltre vent’anni di leadership sui temi della privacy e della tecnologia. È difficile immaginare una figura più essenziale in questo momento storico. Giovanni aveva una capacità impareggiabile di relazionarsi con tutti i punti di vista. Non scendeva mai a compromessi sui propri valori o sul pubblico interesse, ma era in grado di concentrarsi sempre su elementi di possibile intesa piuttosto che sulle differenze.
Sull’importanza della protezione, per esempio, era risoluto. Ma non ha mai messo in discussione le ragioni o i valori delle forze dell’ordine o di altri funzionari preoccupati per le implicazioni della crittografia. Piuttosto, era convinto che un dialogo aperto e onesto potesse persuadere chiunque a cogliere i benefici universali della tecnologia.
La sua appassionata ricerca di soluzioni, invece che di conflitti, ha reso possibile e durevole il Gdpr (Regolamento generale sulla protezione dei dati), il suo più grande successo.
Mi addolora dire addio al mio amico Giovanni, ma mi conforta e rasserena sapere che ha vissuto e l’ha fatto così bene. Tutti noi beneficeremo per molti anni a venire del suo lavoro. E sono convinto che le basi che ha gettato dimostreranno di essere fondamenta solide per uno dei progetti più grandi dell’umanità.