la Repubblica, 23 agosto 2019
Intervista a Woody Allen che fa film per non pensare alla vita triste e spiacevole
Woody Allen ha lo sguardo di chi vede un raggio di luce alla fine di un tunnel lungo due anni, mentre i distributori francesi gli spiegano che le prime reazioni dei critici alle proiezioni di Un giorno di pioggia a New York sono le migliori dai tempi di Midnight in Paris: «Davvero? Sono felice». Il regista ha la voce assottigliata dagli 83 anni e i recenti dispiaceri. «Woody ha ritrovato serenità e buon umore – spiega la sua agente – non parlerà di Amazon perché c’è una causa legale in corso».
Allen ha chiesto un risarcimento di 68 milioni di dollari per la mancata distribuzione di questo film, in Italia rà il 10 ottobre grazie a Lucky Red.
Interdette anche le domande legate alle accuse di molestie della figlia Dylan, tornate alla ribalta a 25 anni dall’assoluzione del regista nelle sedi processuali. Alla domanda su come affronta il fatto che alcuni attori dei suoi film, compreso il protagonista di quest’ultimo, Timothée Chalamet, non lavoreranno più con lui, Allen allarga platealmente le braccia: «Che posso dire? Io mi sono divertito molto a girare con loro. Sono liberi di non farlo più, certo, ma comunque non credo che accadrà. E ho appena finito di girare in Spagna il mio nuovo film, con Chistoph Waltz e Louis Garrell».
"Un giorno di pioggia a New York” è una commedia su due fidanzati che si ritrovano a vivere separati incontri e avventure in un weekend che li cambieranno. Lei cosa ha capito sull’amore?
«Si può speculare sull’amore, ed è stimolante, ma non comprenderlo o controllarlo. Siamo in balia del caso.
Ecco perché c’è così tanto dolore nell’amore, problemi, difficoltà. Tutti ne hanno scritto, Cechov, Tolstoj, Stendhal, nessuno ha mai trovato qualcosa per risolvere il problema».
Il personaggio di Chalamet, Gatsby, veste all’antica, ama i classici hollywoodiani e Gershwin, le assomiglia molto.
«Sì. Ho sempre avuto una vena nostalgica, mi piaceva la vecchia musica, giocare a carte, NY sotto la pioggia… Ai miei coetanei non interessava. Ai compagni di scuola non poteva fregare di meno di Charlie Parker. Avevo pochi amici che condividevano i miei interessi».
Elle Fanning è una ragazza piena
di illusioni: lei quando ha conosciuto la disillusione?
«Già a otto anni avevo capito che la vita era spaventosa, difficile e straziante. Viverla me lo ha confermato... sono riuscito per fortuna ad evitare di essere colpito da un drone. Ho avuto una buona salute, genitori longevi, una moglie amorevole, una famiglia, una sorella che mi è vicina. Mi guardo intorno e vedo persone con vite terribili».
New York è ancora una volta protagonista del film.
«Sono un fan delle grandi città: Barcellona, Roma, Parigi, New York.
Non le ritraggo per come sono ma per come le sento. Le New York di Scorsese o Spike Lee sono realistiche, solide. La mia è filtrata nella mente in modo idealistico, la cosa vale per ogni città in cui ho girato. C’è qualcosa di importante nelle metropoli per me, forse perché le considero l’apice della civiltà, con i teatri, i negozi di dischi, di libri… Siamo a Parigi da due giorni, mia moglie voleva andare al museo, ma a me piace solo camminare per strada, nel trambusto, tra la gente».
Perché è importante per lei continuare a fare film?
«Mi distrae dal pensare che ho 83 anni. Potrei crollare stecchito ora davanti a lei e non sorprenderebbe.
"Cosa ti aspetti, ha 83 anni!”. Mi piace concentrarmi sui dettagli anche banali di un film, se invece ho troppo tempo dopo un po’ inizio a pensare e mi si ripropone l’immagine della vita che è triste e spiacevole».
Ha scritto un’autobiografia. Cosa ha scoperto scrivendola?
«Che non ho avuto una vita eccitante o dinamica, ma quella da classe media: sveglia, esercizio fisico, colazione, lavoro, clarinetto, passeggiata, amici. Non ho una barca, un aereo, una casa in campagna o al mare… Faccio la vita di un uomo d’affari o di un fornaio».
Trump ha messo in dubbio la lealtà dei senatori democratici ebrei. In Europa e in Usa crescono antisemitismo ed estrema destra.
«L’ascesa della destra è negativa in ogni momento storico. Freud ha detto che ci sarà sempre antisemitismo perché la razza umana è retriva. È vero: le persone sono così spaventate dalla vita che esorcizzano le paure dando la colpa agli ebrei, o ai neri, o agli immigrati.
Ci sono sempre altre persone da incolpare e ferire. L’ascesa della destra, magari sono nel Giardino dei Finzi Contini e mi sbaglio, secondo me si fermerà. Alle prossime elezioni negli Stati Uniti si spera vinceranno i democratici, la destra si ritirerà e questo influenzerà il resto del mondo. Spero di non sbagliarmi, perché altrimenti sarebbe tremendo: l’estrema destra è una rovina per la società civile, non ha mai fatto nulla di utile per la razza umana».
Il nuovo film, “Rifkin’s Festival”, parla ancora di sentimenti.
«L’ho appena finito, racconta di una coppia americana che va al Festival di San Sebastian dove la moglie lavora come addetta stampa. È stata una bella esperienza e sono soddisfatto.
Anche se tra una settimana a New York, al montaggio, lo guarderò con l’occhio critico del realismo».
Entrambi i film li ha girati con Vittorio Storaro.
«Lo amo. Il rapporto tra regista e direttore della fotografia è quello più importante del film: Storaro è un genio, pieno di idee».
Cos’ha imparato girando la serie tv Amazon “Crisi in sei scene”?
«Che non mi sentivo a mio agio. Forse un giorno ci riproverò, ho fatto del mio meglio senza metterci il cuore».