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 2019  agosto 23 Venerdì calendario

Quattro giorni per i partiti, martedì prossimo nuovo giro di consultazioni e possibile incarico a un premier. La tabella di marcia di Mattarella

Il cortile del Quirinale sembra un deserto. Luigi Di Maio lo attraversa lentamente, dopo il colloquio con Sergio Mattarella. Sorride, pensa di aver ridotto decisamente la distanza che lo separa da un patto con il Pd per un governo giallo-rosso. Anticipa la domanda. Alza le mani sopra la testa, unisce pollici e indici, disegna in aria un cuore. Come un bomber che ha appena fatto gol.
Per chi ha passato notti insonni con il terrore di nuove elezioni, è indubbiamente un giorno di moderato ottimismo. Una forza invisibile sembra sospingere l’accordo per il “governo MaZinga” – lo chiamano già così, dalla crasi tra i cognomi dei due leader – e tutto questo nonostante le paure dei protagonisti. E alcune timidezze di Di Maio. Davanti ai cronisti che lo attendono dopo il colloquio al Colle, il leader invia segnali a Nicola Zingaretti. «La crisi fa male agli italiani – dice – il coraggio non è di chi scappa. Non abbandoniamo la nave che affonda». E anche i dieci punti programmatici sono spruzzati di rosso, più che di verde. Ma il leader non cita il Pd come l’interlocutore unico di queste ore, né esclude a prescindere la Lega dalla partita.
Due ore più tardi, sono già le 20, Sergio Mattarella scende alla vetrata del Colle. E la scossa si sente. Indica la tabella di marcia da cui dipende la sopravvivenza della legislatura: quattro giorni per i partiti che vogliono trattare sui programmi, poi martedì prossimo nuovo giro di consultazioni e possibile incarico a un premier, probabilmente mercoledì. A quel punto, Movimento e Pd dovranno avere un nome per guidare l’esecutivo.
Per raggiungere l’obiettivo, molto dovrà consumarsi nelle prossime novantasei ore. A partire da una serrata trattativa programmatica. A sera, il capogruppo 5S Patuanelli chiede ai parlamentari grillini la delega a discutere con i pari grado dem sui dieci punti targati M5S. Ma l’incontro decisivo, che non è detto venga pubblicizzato, sarà quello tra Zingaretti e il leader di Pomigliano. Potrebbe tenersi tra oggi e domani.
Di certo, i due si sono sentiti anche ieri. E il risultato è stato quello di sminare i primi ostacoli lungo il cammino. Il momento più delicato si è vissuto quando Repubblica ha anticipato le tre reali condizioni poste da Zingaretti per sedere al tavolo: tra queste, la frenata sul taglio dei parlamentari è sembrata un siluro contro i seguaci di Beppe Grillo. In pochi minuti, monta la protesta. Tocca a Di Maio bloccare tutti. Prende l’iPhone e scrive al segretario dem, conciliante: «Parliamone».
È il segnale. Si può ragionare su tutto. E si va avanti, anche se la Lega prova a disturbare l’operazione proponendo a Di Maio la poltrona di Palazzo Chigi. Anche se a sera circolano voci di un ripensamento di Davide Casaleggio, pronto a riaprire l’alleanza con Salvini. L’assemblea serale dei grillini, però, è in maggioranza a favore del patto. E non perché tra i parlamentari manchino voci favorevoli a un nuovo matrimonio con Salvini. Il punto è che il corpaccione dei peones vuole un governo per non andare al macello. E comprende che la strada meno impervia è quella che conduce al Nazareno.
Se dalle parti del Pd le anime interne giocano a sgambettarsi, ai piani alti dei pentastellati la tensione resta sopra il livello di guardia. Alessandro Di Battista tace, scettico. E lo stesso fa Giuseppe Conte. Sulla carta, Di Maio porterà di nuovo il suo nome al tavolo con il Pd, l’unico di certo in grado di tenere unite le truppe 5S. I renziani continuano a parlare apertamente di un suo bis. Ma il leader del Movimento deve tenere conto del veto di Zingaretti ed è disponibile anche ad archiviare il premier uscente, mai citato nelle dichiarazioni al Colle. Di più: non esclude che l’avvocato possa fare presto un passo indietro.
Soltanto il faccia a faccia tra Di Maio e Zingaretti potrà sancire il patto sulla premiership. Nelle ultime ore tornano a salire le quotazioni di una figura terza, e si fa il nome del professore Enrico Giovannini. Il segretario dem, intanto, tira le somme della giornata con una nuova apertura. «Dalle proposte da noi illustrati a Mattarella – e dalle parole e dai punti programmatici esposti da Di Maio emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare».
Carezze timide che evocano passi in avanti. Anche perché in queste ore i pontieri della trattativa ostentano come un totem un numero monstre: 178. Sono i senatori della potenziale nuova maggioranza “MaZinga” a Palazzo Madama. Un record da diverse legislature a questa parte.