Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 22 Giovedì calendario

Ritratto di Ahmad Massud, il “Leone del Panshir”

Ha suscitato grandi speranze il ritorno in Afghanistan, dopo 17 anni passati a studiare a Londra, del figlio di Ahmad Massud, il “Leone del Panshir” che ha sempre goduto di un’ottima reputazione in Occidente.
Il giovane Massud, che oggi ha trent’anni, si è ripresentato con queste parole: “Se mio padre fosse vivo, i talebani saprebbero di dover venire qui con le mani in alto, in segno di resa”.
Per capire quanto arroganti, ridicole ma anche pericolose siano le parole del giovane Massud bisogna rifare la storia del padre e, con essa, dell’Afghanistan degli ultimi trent’anni. Ahmad Massud è stato certamente un grande combattente, ma un coglione politico. Insieme agli altri “signori della guerra”, Hekmatyar, Dostum, Ismail Khan, era stato uno dei protagonisti della vittoria sui sovietici che avevano invaso l’Afghanistan nel 1979. Come Hekmatyar, Dostum, Ismail Khan era un capoclan, quello dei Tagiki, e un uomo di potere. Quando i sovietici si ritirano dall’Afghanistan, lasciando a Kabul un loro uomo di facciata, Najibullah, fra i “signori della guerra” si accese una feroce lotta per la conquista del potere. Il primo a cominciare è proprio Massud che occupa militarmente Kabul. Hekmatyar non ci sta e circonda la città. È l’inizio della guerra civile. I gloriosi combattenti e i loro sottopancia si trasformano in capibanda mafiosi che assassinano, stuprano, taglieggiano, sbattono fuori dalle case i legittimi proprietari per metterci i propri adepti e angariano a loro piacere la povera gente. Sarà questa situazione di totale arbitrio che susciterà la rivolta dei Talebani, i giovanissimi “studenti delle madrasse”, guidati dal Mullah Omar. Benché molto meno esperti e ancor peggio equipaggiati i Talebani sconfiggeranno i “signori della guerra”, perché hanno l’appoggio della popolazione che non ne può più di questa situazione.
Il 26 settembre 1996 i Talebani entrano a Kabul e diventano i padroni del Paese. Hekmatyar è fuggito in Iran, Dostum in Uzbekistan, Massud si è ritirato nell’enclave del Panshir (dove vige la sharia come nel resto del Paese). Massud, che non ha digerito la sconfitta, inizia a trafficare con gli americani i quali, dopo aver visto in un primo tempo con favore il governo di Omar, pensando che si sarebbe piegato docilmente ai loro voleri, hanno deciso da tempo di invadere l’Afghanistan. Ma non possono farlo solo con i bombardieri, hanno bisogno di forze sul terreno, i tagiki di Massud appunto (l’Alleanza del Nord). Ci sono incontri fra emissari del Mullah Omar e lo stesso Massud per cercare un accordo che tagli fuori gli americani. Il primo avviene fra la fine del 1999 e gli inizi del 2000 fra Zaeef, uomo di fiducia di Omar, e lo stesso Massud. Omar offre a Massud un ruolo di primissimo piano nel governo di Kabul. È un’offerta generosa perché i Talebani controllano quasi l’intero territorio afghano, Massud solo l’enclave del Panshir che ne rappresenta meno dell’un per cento. Massud voleva però condividere col Mullah Omar il potere militare. Omar pensava che fosse pericolosa una diarchia militare che avrebbe creato più problemi di quanti ne avrebbe risolti. L’incontro si concluse con un nulla di fatto, ce ne sarà un secondo nei primi mesi del 2001 in cui Massud, che non vi è andato personalmente, si dimostra molto più freddo. Ha ormai deciso di allearsi con gli americani. Ci sarà infine una telefonata tra Omar e Massud, l’unica volta in cui i due si sono parlati direttamente, in cui il capo dei Talebani avverte Massud: guarda che se fai entrare gli americani in Afghanistan non sarai tu a comandare, ma loro. Massud dice ancora di no e con questo no segnerà non solo la storia dei successivi 18 anni dell’Afghanistan ma anche la sua personale. Massud era infatti un afghano integrale e dopo l’intervento degli americani avrebbe detto loro: grazie per averci liberato dei nostri nemici, ma adesso tornatevene a casa vostra. Questo l’intelligence americana lo sapeva benissimo e decise di far fuori Massud con un attentato attribuito ad al Qaeda (ipotesi che non sta in piedi perché Massud aveva, storicamente, ottimi rapporti con Bin Laden che proprio lui aveva chiamato in Afghanistan perché lo aiutasse a combattere un altro “signore della guerra”, l’arcinemico Gulbuddin Hekmatyar) ma di pura marca yankee. Insomma è stato proprio Massud a consegnare l’Afghanistan agli americani.
E siamo all’oggi. Da mesi americani e talebani stanno trattando a Doha. L’ipotesi di accordo è questa: gli Stati Uniti ritirano le loro truppe e quelle dei loro alleati dall’Afghanistan (Trump non vuole spendere 45 miliardi l’anno per una guerra già persa), in compenso i talebani si impegnano a che sul loro territorio non allignino gruppi terroristi. Impegno scontato perché è almeno dal 2015 che i Talebani combattono l’Isis (cinque giorni fa gli uomini di Al Baghdadi si sono resi responsabili di un attacco kamikaze, durante un matrimonio, che ha fatto 63 morti e 182 feriti, attentato rivendicato dall’Isis, anche se non c’era bisogno di questa conferma perché i talebani non hanno mai attaccato obiettivi civili per la semplice ragione che è proprio sull’appoggio della popolazione che hanno potuto sostenere una resistenza che dura da 18 anni).
Qualcuno ricorderà, forse, che nel 2015 il Mullah Omar, in quello che è stato il suo ultimo atto pubblico, scrisse una ‘lettera aperta’ ad Al Baghdadi in cui gli intimava di non entrare in Afghanistan. Cosa che invece l’Isis ha potuto fare perché i Talebani dovevano combattere contemporaneamente sia gli occupanti stranieri sia i guerriglieri dell’Isis.
Ora la pacificazione afghana e l’indipendenza di questo Paese sono vicini sorge il problema di che cosa succederà dopo l’accordo talebano-americano. Se fosse ancora vivo il Mullah Omar, con la sua saggezza e la sua sostanziale moderazione, si potrebbe essere relativamente fiduciosi. Quando conquistò Kabul Omar fece eliminare il fantoccio sovietico Najibullah, ma il giorno dopo concesse un’amnistia generale che è durata per tutti i sei anni e mezzo del suo governo. Ma Omar adesso non c’è più e la situazione si è molto incancrenita. Per 18 anni i Talebani hanno dovuto combattere contro i loro connazionali dell’esercito ‘regolare’ afghano, ragazzi disperati che si arruolano solo per sfuggire alla fame. Inoltre ci sono tutti i corrotti, gli intellettuali, i giornalisti che in questi 18 anni hanno sostenuto prima il governo fantoccio dell’ultracorrotto e mercante di droga Hamid Karzai e adesso sostengono il governo altrettanto corrotto di Ashraf Ghani, che infatti i Talebani non hanno voluto al tavolo delle trattative. Il pericolo di un sanguinoso regolamento di conti esiste. E il ritorno del figlio di Massud, che svernava a Londra mentre i suoi connazionali, Talebani e non, versavano il sangue in Afghanistan, rischia di riaccendere conflitti interetnici e intertribali che prima il governo del Mullah Omar e adesso la conquista da parte dei Talebani dell’intero Paese avevano sopito. Il rampollo di Massud torni a studiare a Londra. Sarà meglio per tutti.