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 2019  agosto 22 Giovedì calendario

Di Maio e Zingaretti vorrebbero una donna come premier

 «Non ci impicchiamo al nome di Giuseppe Conte e possiamo lavorare a individuare un presidente del Consiglio “terzo”, fuori dai due partiti». A far decollare la trattativa tra Pd e M5S basta un segnale. E quel segnale raggiunge il quartier generale dei democratici qualche ora dopo la fine della Direzione del partito, che all’unanimità ha approvato la relazione di Nicola Zingaretti in cui si chiede – tra le altre cose – «discontinuità» rispetto al governo precedente. Mentre decine di peones passano il pomeriggio incollati alla tv ad aspettare una risposta del M5S alla proposta di governo di legislatura – che con i crismi dell’ufficialità arriverà soltanto nella giornata di oggi – quell’«ok», partito dalla cerchia ristretta di Luigi Di Maio, ha già raggiunto gli uomini più vicini al segretario Pd.
Il fatto che il M5S sia disposto a sacrificare la sua pedina istituzionalmente più rilevante, agli occhi dei vertici del Pd, viene ritenuto un fatto nuovo. E importante. A cui bisogna dare una risposta, per uscire dallo stallo e presentarsi all’appuntamento con il presidente della Repubblica di oggi con una tela che ha già iniziato ad essere tessuta. La risposta arriva subito dopo il tramonto, quando gli ambasciatori del Nazareno lasciano intendere agli interlocutori pentastellati che «a questo punto, i nostri veti sulla presenza di Di Maio nel futuro governo», ove mai nascesse, «non ci sono più». Certo, il vicepremier uscente non potrebbe ambire ai galloni di vicepremier, forse nemmeno a quelli di un ministero di primissima fascia, tutte cose che comunque sarebbero oggetto della trattativa finale. Ma sull’ingresso nell’esecutivo, no; ostracismi di vario tipo non ne subentrerebbero.
A tarda sera, quindi, i due fronti un piccolo passo in avanti l’hanno fatto. E a fari spenti. Il «nome» più atteso d’Italia potrebbe essere «terzo» rispetto ai due partiti. Da Francoforte, nel pomeriggio, fonti autorevoli della Bce hanno già fatto sapere che, seppure onorato dell’interessamento espresso da esponenti politici di più parti, Mario Draghi è indisponibile.
Tolto l’asso di cuori, dal mazzo viene fuori una carta coperta, già oggetto del dialogo incrociato tra gli ambasciatori. «Il vero elemento di discontinuità, in grado di arrestare sul nascere la smania dei furbetti che potrebbero far nascere il governo per poi togliergli la fiducia a piacimento, sarebbe accordarsi su una donna presidente del Consiglio», riassume uno degli autorevoli «mister X» che fa la spola per tutto il giorno tra la Camera, il Senato e gli uffici in uso ai gruppi di Pd e M5S. La suggestione, prima che sia notte, avrebbe raggiunto sia Di Maio che Zingaretti.
L’ipotesi
L’identikit somiglia a quello della giudice
costituzionale
Marta Cartabia
Una donna, insomma. La prima donna a Palazzo Chigi della storia d’Italia. Fuori dalle casacche di partito e senza una storia politica di parte, un identikit che quindi non assomiglia ai profili di Emma Bonino o di Laura Boldrini, tanto per capirci. Un identikit che assomiglia e molto a quello di Marta Cartabia, classe 1963, giudice costituzionale.
L’indicazione toglie dal panico il gruppo che guida il M5S. Un gruppo di senatori riunitosi attorno a Paola Taverna aveva iniziato a caldeggiare elezioni anticipate. «Meglio andare adesso al voto che finirci dopo per mano di Renzi, no? Soprattutto se possiamo sfruttare la popolarità di Conte come candidato premier». Conte, interpellato, aveva già opposto il suo niet. Della serie, «non sono disponibile a candidarmi alle elezioni, se ci saranno». Il premier dimissionario, non è un mistero per nessuno, s’è defilato nella speranza che all’ultimo giro di giostra il suo nome possa di nuovo spuntare fuori. Nonostante il veto di Zingaretti.
Già, Zingaretti. Dalle parti del segretario del Pd insistono su una maggioranza «il più ampia possibile» proprio per blindarsi aritmeticamente – soprattutto al Senato – dalla golden share dei renziani. E ottengono, nella massima riservatezza di un dialogo sottotraccia condotto con l’ala di Forza Italia che risponde agli impulsi di Gianni Letta, un risultato non da poco. I berlusconiani staranno all’opposizione, questo è ovvio. Ma un gruppo di «responsabili» che potrebbero diventare sensibili alle sirene di Arcore, qualora al governo nascituro servisse un soccorso, quel soccorso numerico sono pronti a offrirlo. Sempre che il governo nasca davvero.