la Repubblica, 22 agosto 2019
Biografia di Joao Felix, il fenomeno del futuro
Il calcio non si estinguerà quando si estingueranno Messi e Ronaldo, il cui dominio decennale ha castrato almeno un paio di generazioni. La prossima avrà invece campo libero per molti talenti ventenni di straordinaria fulgidezza, introdotti da Mbappé, campione del mondo bambino, e adesso sublimati dalla purezza calcistica di Joao Felix, il ragazzo che marchierà gli anni Venti di questo secolo. Di lui i più sanno ancora poco, grosso modo questo: è portoghese, ha 19 anni e gioca nell’Atletico Madrid che a luglio ha pagato al Benfica la clausola rescissoria di 126 milioni più 12 di commissione (un onesto 10% scarso, da noi si in genere si largheggia maggiormente) divisi tra il tentacolare Jorge Mendes, regista dell’operazione, e il procuratore, Pedro Cordeiro. Per sapere il resto, basta guardarsi l’azione con cui El Menino de Oro, come l’hanno ribattezzato a Lisbona senza slanciare la fantasia, s’è conquistato un calcio di rigore (poi sbagliato da Morata) nell’esordio in Liga contro il Getafe: ha preso palla a 70 metri dalla porta, ha superato un primo avversario con lo scatto iniziale e il secondo con un doppio passo e un tunnel, il terzo se l’è tolto di mezzo con una spallata e il quarto, il truce stopper Bruno, puntandolo in dribbling e poi sfidandolo in velocità finché quello, frustrato, l’ha abbattuto. Il quotidiano As ha definito quei 13 secondi “scandalosamente maradoniani”, ma è tutta l’estate che Joao colleziona meraviglie: ha fatto un gol e due assist al Real, segnato una doppietta alla Juve e sciorinato in assoluta leggerezza il suo calcio naturale, così lontano sia dall’irreplicabile istintività di Messi sia dalla brutale voracità di Ronaldo. Joao Felix fa cose di una naturalezza sorprendente, senza sforzo né fisico né di pensiero: è capace di fiondare lanci di precisione millimetrica prima che ne si colga il senso o ciondolare per un attimo con il pallone tra i piedi e poi scagliarlo senza nessuna avvisaglia all’incrocio dei pali. Ma sa anche segnare di testa pur essendo esile e fiutare gli spazi vuoti (vedere il secondo gol alla Juve, con una capacità di lettura della traiettoria del pallone ben superiore a quella di De Ligt). Joao Felix non è un genio, ma un calciatore: nel senso che ha un modo di calciare la palla e di calarsi nel gioco del calcio assolutamente spontaneo, quasi simbiotico. «La mia dote migliore», dice, «è l’intelligenza»: dare un’occhiata al campo e capire subito tutto. Lo hanno paragonato, e lui stesso lo ha fatto, a Kaká e Rui Costa, ma rispetto al brasiliano ha più senso del collettivo e al portoghese, suo dirigente al Benfica, un’attitudine al gol notevolmente più spiccata. Però non ha ancora un ruolo definito. «Mi piace fare la seconda punta» e Simeone qualche volta lo fa giocare lì, altre lo piazza nel tridente (a destra o a sinistra è uguale) con Lemar e Morata, altre ancora esterno a centrocampo, ma in prospettiva il gioco gli girerà attorno: «Ovunque lo metta», spiega il Cholo, «ha una visione di gioco straordinaria. Ma la sua dote più sorprendente è la voglia di imparare».
L’Atletico lo ha preso perché ha avuto coraggio e non ha esitato a investire una parte dei molti soldi felicemente incassati (120 milioni per Griezmann, 80 per Hernandez, 70 per Rodri, 30 per Martins) prima che il Benfica alzasse la clausola a 200 milioni, come stava facendo. Lo hanno trattato in molti e molto intensamente anche la Juventus, ma senza mai offrire più di 60 milioni. Lui, poi, ha capito che l’Atletico sarebbe stato il posto giusto, e con l’allenatore giusto, per crescere, replicando in un certo modo la decisione felice e coraggiosa che prese quando aveva 15 anni e lasciò il Porto (che dall’operazione ha incassato 1,2 milioni, la cosiddetta solidarietà), dove era entrato 6 anni prima e dove lo avevano inserito nel prestigioso programma Pje (Potencial Jogador de Elite), ma continuando a chiedergli di mettere su muscoli. Così se ne andò al Benfica, lontano da casa (è di Viseu, nel nord del Portogallo, la stessa cittadina di Paulo Sousa) ma più vicino a un calcio naturale. Con le aguias ha battuto ogni record di precocità, fino a essere il più giovane a realizzare una tripletta in Europa League in quel 4-2 all’Eintracht che l’ha rivelato al mondo. Al Benfica divenne titolare a gennaio, quando in panchina fu chiamato un tecnico formato nel vivaio, Bruno Lage, che con lui, grazie a lui, ha scavalcato il Porto e vinto il titolo. Alla prima stagione da professionista, Joao Felix ha scodellato 20 gol e 11 assist. E ha ancora i brufoli sulle guance.