la Repubblica, 22 agosto 2019
Oggi Di Maio e Zingaretti proveranno a convincere Mattarella
Oggi Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti dovranno dimostrare al Presidente della Repubblica che intendono promuovere sul serio un nuovo governo. Mattarella si aspetta una sola cosa: convinzione. Entro lunedì va formulato il nome di un premier, che dovrà avere la certezza di mettere insieme una nuova, solida, maggioranza in Parlamento, per un governo di legislatura, di alto profilo. Se questa convinzione emergerà sin da stasera – nella seconda giornata di consultazioni al Quirinale, la delegazione Pd salirà al Colle alle 11, quella M5S alle 17 – allora il Capo dello Stato all’inizio della settimana prossima indirà un nuovo, rapidissimo, giro di consultazioni, che spianerà la strada a un’alleanza tra democratici e grillini. In caso contrario si spalancheranno le strade del voto, che Mattarella intende affrontare previa formazione di un esecutivo cosiddetto elettorale che avrà l’unico compito di portare il Paese alle elezioni, perché a farlo non potrà essere la compagine gialloverde, con Matteo Salvini al Viminale.
Mattarella, lo ha ribadito a tutti gli attori ieri, ha fretta. La crisi nella quale Salvini ha fatto precipitare l’Italia non è solo la più pazza del mondo, ma è anche pericolosa, considerato il contesto economico internazionale. E perciò va risolta senza indugi. O nasce un governo solido oppure c’è solo il voto. Tertium non datur. Niente mandati esplorativi. Niente esecutivi tecnici. «Lei esclude anche un governo istituzionale, del presidente, che possa traghettare il Paese al voto a febbraio?», gli ha domandato il deputato Maurizio Lupi. Lo escludo, ha risposto il Capo dello Stato. L’urgenza del Presidente è presto spiegata. Mattarella teme imboscate finanziarie, vuole evitare a tutti i costi l’esercizio provvisorio, che scatterebbe in caso di mancata approvazione della manovra di bilancio entro il 31 dicembre. In cima alla sua preoccupazione c’è la messa in sicurezza dei conti pubblici. Se bisogna andare al voto, tra fine ottobre e novembre, i tempi diverrebbero strettissimi.
«Fate presto» ha perciò sollecitato i capigruppo nella prima giornata delle consultazioni, iniziata con una telefonata al presidente emerito Napolitano (che si trova fuori Roma), e proseguita con i colloqui con i presidenti delle Camere Casellati e Fico (che gli ha illustrato la situazione interna al Movimento), culminata con i Gruppi delle Autonomie, e il Gruppo Misto, di cui fa parte Leu, i cui rappresentanti Grasso e De Petris si sono detti favorevoli a un governo di discontinuità imperniato sull’asse Pd- M5S. Durante i colloqui con il Gruppo delle Autonomie – favorevoli a un Conte bis, ma la Svp è per l’astensione – si è fatto cenno alla necessità di avere più tempo, considerate le distanze che hanno fin qui segnato le posizioni di dem e pentastellati, ricordando la recente esperienza tedesca, dove Cdu e Spd ebbero mesi di tempo per stilare un accordo programmatico. Mattarella ha tagliato corto: quel tempo non c’è. La situazione non è più quella d’inizio legislatura, nella primavera del 2018.
C’è poi un’altra preoccupazione a muover e il Colle, ovvero la necessità di avere in sella un governo con unità di vedute e di intenti. I populisti al potere non offrono più alcuna garanzia in tal senso, com’è emerso definitivamente l’altro giorno al Senato, dove il premier Conte ha processato Salvini in diretta televisiva. L’Italia non può permetterselo.
Anche per questo bisogna voltare pagina. Mattarella ha spiegato i suoi criteri di valutazione: il prossimo governo non potrà nascere con l’unico scopo di schivare lo scioglimento delle Camere, ma dovrà avere un respiro lungo, puntellato da una maggioranza solida. Che chance ci sono al momento di scongiurare le urne? 50-50. Mattarella non si schiera con nessuna delle due opzioni in campo. Il suo compito, ha spiegato, è di registrare la volontà del Parlamento. Di Maio e Zingaretti dovranno convincerlo che stanno trattando sul serio.