Libero, 21 agosto 2019
Il libro che Fitzgerald non ha mai scritto
Accade, ciclicamente, come un segnale, un promemoria indispensabile, che salti fuori, da una vecchia libreria, o da una cantina, o da un archivio dimenticato, o... dall’occulto, un inedito. In questo caso trattasi di un progetto di inedito. Il nome è grosso, Scott Fitzgerald. Nel suo periodo finale, quello di Hollywood, lo scrittore, frustrato dal lavoro sulle sceneggiature, che non erano il suo mestiere, pensò a quello che sarebbe stato il suo “perfetto romanzo americano”. Lui che aveva scritto grandi romanzi, e uno, Il grande Gatsby, “quasi” perfetto. Ma You Go Your Way lo avrebbe sorpassato. Indispensabile sono i contesti, e le stagioni. Anni venti. Tutto funzionava a meraviglia per Scott e per la sua bella moglie Zelda. Nel 1922, 26enne, Fitzgerald non era solo lo scrittore emergente d’America, ma uno dei personaggi più popolari, il principe (troppo giovane per essere un re) delle copertine, lui e Zelda. La coppia era il simbolo di quel momento socialmente e culturalmente sfrenato, modello perfetto di una felicità privilegiata e al sicuro, con Cadillac decappottabili e coppe di champagne sempre alzate. Uno dei personaggi dello scrittore, Elena, in Babilonia rivisitata diceva «dobbiamo vivere una vita di ultimi giorni». Scott e Zalda vivevano a Long Island. Feste, sprechi, shopping furioso, high society. Davano giovanile scandalo. Erano gli idoli di tutti. Poco dopo trasferirono il loro vorticoso menage fra Antibes e Parigi, dove c’era la meglio gioventù, la ricchezza più in vista, l’intelligenza più avanzata del mondo. I soldi uscivano a fiumi, Scott, per far fronte, scriveva racconti, roba facile e di mercato, penalizzando talento e qualità. Chiedeva anticipi agli editori. Sua moglie, vicino a un genio vero, ossessionata dall’emulazione, tentò di scrivere, di dipingere, di ballare e cominciò a dar segni di instabilità. LA MOGLIE E LA FIGLIA Poi si ammalò sul serio e venne ricoverata in una clinica, in quella più attrezzata naturalmente. E c’era la figlia Scottie, ormai adolescente, che studiava, nei college più costosi, naturalmente. Poi tutto cambiò, minore energia, minori successo e denaro. E c’è un dato più eloquente di tutte le parole: un rendiconto editoriale del primo agosto 1940 riportava quaranta copie vendute per un totale di diritti d’autore di 13 dollari e 13 centesimi. E poi la salute: Scott ormai aveva sempre il bicchiere in mano. E così il romanziere pensò al cinema. Alla fine degli anni trenta andò a Hollywood, sicuro che la città del cinema lo avrebbe accolto come una star, lui il grande maestro. Ma non fu così. Il sistema del cinema era fondato sul mercato più che sulla qualità. L’eleganza di scrittura, l’armonia del fraseggio, non trovarono accoglienza in California. Scott venne applicato ad alcune sceneggiature, anche importanti, come I tre camerati, e Via col vento. Scriveva i suoi dialoghi, poi arrivavano un paio di sceneggiatori con un vocabolario di 50 parole, che tiravano delle righe e correggevano. Mortificazioni per un uomo ormai debole, e tristissimo. Finché un giorno Irving Thalberg, il capo della produzione della Metro, lo convocò e gli disse che era costretto, a malincuore, a rinunciare alla sua collaborazione: «La tua prosa è un godimento, ma non possiamo fotografare gli aggettivi». Scott cercò un recupero, si disse disponibile ad adattarsi, si umiliò. Ma lo Studio fu irremovibile. LA TRAMA Fu il colpo di grazia: salute in caduta verticale, crisi da alcol quasi mortali. Sheila, la sua compagna, gli tese la mano, si offrì di sostenerlo per la stesura di un nuovo libro. E fu il momento dell’idea di You Go Your Way. Mise giù la struttura. Era la storia di una coppia che percorre gli anni dell’America felice, fino alla crisi del 1929, e alla recessione che ne seguì. Il racconto avrebbe coinvolto personaggi che fecero la storia in quegli anni, come Edoardo VIII che rinunciò alla corona inglese per amore di Wally Simpson, come Egdar Hoover, capo dell’FBI, uomo dal potere infinito e pericoloso. Il libro sarebbe stato un documento storico ecumenico, la prospettiva di una delle più belle intelligenze della nazione. Il progetto era certo impegnativo, troppo per le forze dell’autore. E allora Fitzgerald “ripiegò” su un’altra idea, più semplice e vicina, un romanzo proprio su Hollywood, che vedeva come il ricorso di una corte rinascimentale, con monarchi e principi, dignitari, giullari, artisti, puttane e faccendieri. Si sarebbe chiamato The last tycoon, in italiano Gli ultimi fuochi. Si ritirò in una villetta davanti al mare di Malibu. Scrisse sette capitoli e li spedì all’editore Scribner. Un mese dopo ricevette una busta con un assegno di 5.000 d’anticipo. Dopo molti anni era tornato scrittore vero e sperò di poter ricomporre miracolosamente la salute e di arrestare la caduta. Una felicità di pochi giorni. Morì di infarto poco prima del Natale del quaranta.