Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2019
In tutta Europa sbarchi in Borsa ai minimi da dieci anni
L’Eurostar di Trainline si ferma alla prima stazione di Londra. Quando lo scorso maggio la società di biglietti ferroviari online, tra cui il “pendolino” Londra-Parigi, sbarcò sul London Stock Exchange, prima matricola dell’anno in un mercato deserto, l’entusiasmo si toccava con mano. Nonostante lo spauracchio Brexit, il felice debutto di Trainline prometteva un’estate pimpante per le quotazioni in Borsa. E invece la App è stata la classica rondine che non fa primavera. Oltre il giro di boa di metà anno, è buio pesto a Paternoster Square per il 2019 delle Ipo. Tutti fuggono dalla Borsa: l’atteso debutto di Reassure, la gamba inglese di SwissRe, è saltato. La mega compagnia di assicurazioni elvetica era a un passo dal quotare la sua divisione, ma poche ora prima del debutto ha mandato tutto all’aria. Per Reassure, una sorta di spazzino delle polizze deteriorate con un portafoglio di 40 miliardi di sterline, la Borsa avrebbe valorizzato al massimo 3 miliardi.
Deliveroo, la start-up di consegne di cibo a casa, è un’altra candidata allo sbarco che però non arriva. Da anni, poi, alla Borsa di Londra aspettano invano la quotazione monstre di Aramco, la compagnia saudita che è la più grande oil company al mondo.
Londra può facilmente incolpare la Brexit per la scomparsa delle Ipo, ma il fenomeno in realtà è molto più vasto e profondo. In tutta Europa le aziende non si quotano in Borsa. I numeri scattano la fotografia di un disamoramento ai mercati che interessa l’intero continente: gli sbarchi in Borsa sono ai minimi da 10 anni. Da gennaio a Ferragosto in Europa si sono quotate solo 84 società, rivelano i dati elaborati da Bloomberg. Solo nel terribile 2009, dopo il crack Lehman Brothers, con l’economia mondiale sull’orlo del collasso, il numero di Ipo era stato così basso.
L’estate nervosa della Guerra dei dazi Usa-Cina, delle paura di una recessione imminente, hanno impaurito gli investitori, ma dietro la gelata estiva delle quotazioni si intravedono cause più strutturali: dieci anni di denaro facile, di tassi tropo bassi, di immensa liquidità e di mancata inflazione stanno alterando tutta l’idraulica del mercato in Europa. E a farne le spese sono anche le Borse dove la matricole sono dei panda. Nel primo semestre del 2019, ha rivelato uno studio di PWC, ci sono stati solo 53 debutti, che hanno raccolto sul mercato appena 12 miliardi di euro, la metà rispetto al 2018 (quando il bottino era stato di 23 miliardi). Peraltro delle 53 Ipo da gennaio a giugno, ben 41 sono avvenute nel secondo trimestre, quando appunto sembrava ci fosse una ripartenza del mercato. Ma poi una nuova brusca frenata. Paradosso: tutto il Nord Europa, dove le aziende sono storicamente più aperte alla Borsa, arranca. Invece l’Italia, paese dove gli imprenditori sono restii a quotare le loro aziende, batte un record: lo sbarco di Nexi a Piazza Affari è la più grossa Ipo in tutta Europa. Assieme alla già citata Trainline, l’industria svizzera Stadler Rail e Traton, la divisione camion di Volkswagen, si arriva a 7 miliardi, il grosso della mietitura (fermatasi appunto a 12 miliardi).
Il crollo delle Ipo, che in un sistema economico efficiente è lo sbocco naturale per un’azienda che così raccoglie capitali e ripagare gli azionisti-investitori, è l’effetto di un cocktail dai tanti ingredienti. Primo, e più immediato, le sirene del private equity: i fondi, grazie all’enorme liquidità mondiale, hanno ammassato milioni di miliardi di gunpowder, polvere da sparo; sono pieni di soldi che devono spendere, e ora sono disposti ad accontentarsi anche di quote di minoranza. Poi possono offrire prezzi molto più alti del mercato, dove la valutazioni sono in genere più caute. Gli azionisti che vogliono vendere, preferiscono cedere a un fondo piuttosto che andare in Borsa: incassano molto di più e hanno meno obblighi. In Italia a Piazza Affari sono stati raccolti circa 3 miliardi nel 2019, mentre secondo una recente ricerca di Deloitte, i private equity hanno mosso 8 miliardi. Dunque i fondi battono Piazza Affari quasi 3 a 0. Ma nessuna sorpresa: private equity e Borsa da sempre si alternano. In periodi di magra dei mercati, aumentano le operazioni dei fondi. E viceversa: quando la Borsa tira, c’è sempre un boom di quotazioni e i fondi languono. Borsa e Private Equity sono da sempre “concorrenti”, salvo che poi gli stessi fondi portano le aziende in Borsa per incassare, a un certo punto.
Un elemento nuovo nel sistema è invece il boom delle start-up: molti fondi hanno finanziato migliaia di idee, con l’obiettivo di trovare l’unicorno miliardario. Ma gli investitori si stanno accorgendo che i tempi sono molto più lunghi del previsto; e che le start-up hanno bisogno di più capitali per andare a regime. E così preferiscono finanziare le start-up in portafoglio piuttosto che andare a investire in Ipo. Se si allarga lo sguardo agli ultimi 20 anni, si nota un brusco calo delle quotazioni: sono le Borse di tutta Europa a essere sempre meno attraente. Dal 2000 a oggi, gli stock market si sono contratti del 29%: dalle 8mila società quotate si è scesi a 6mila. E il trend è andato calando costantemente.
L’ultimo ingrediente è invece una nuova patologia, un’anomalia che fa saltare gli schemi tradizionali. Coi tassi negativi, cosa mai vista nella storia dell’economia, le aziende preferiscono finanziarsi da sole, indebitarsi, piuttosto che andare in Borsa. Per anni la struttura del capitale della Corporate Italia è stato condannato: troppi debiti, poco equity. Oggi sembra che tutta Europa stia scoprendo il Modello Italia