La Stampa, 21 agosto 2019
Bombe sui turchi in Siria
Soldati russi e turchi sono vicinissimi, quasi si guardano negli occhi, nella battaglia di Idlib che ha preso nelle ultime 48 ore un’improvvisa accelerata. Ma non sono dalla stessa parte. Le forze speciali di Vladimir Putin hanno un ruolo decisivo negli assalti notturni che hanno frantumato le linee di difesa dei ribelli a Sud della provincia siriana, e permesso ai governativi di accerchiare ed espugnare Khan Sheikhoun, una delle loro roccaforti meglio fortificate. I militari turchi, arrivati nell’autunno del 2018 per sorvegliare una zona cuscinetto ormai in pezzi, sono finiti intrappolati, e ora Mosca e Ankara cercano una soluzione per tirarli fuori senza incidenti, e senza far perdere la faccia a Recep Tayyip Erdogan.
L’intervento in prima persona dell’esercito russo è stato rivendicato lunedì da Putin, nel suo colloquio con Emmanuel Macron. E ribadito ieri dal ministro degli Esteri Serghei Lavrov: «I nostri uomini sono schierati sul terreno», ha spiegato. E ha aggiunto: «La Turchia è stata informata in anticipo dell’imminente attacco contro gli jihadisti. Ha avuto tutto il tempo per prevenire ogni incidente». È il punto di vista russo. Il governo turco è convinto invece che sia stato Bashar al-Assad a violare i patti e lo ha avvertito a «non scherzare con il fuoco», cioè a non mettere in pericolo le vite dei suoi soldati.
I due Paesi non hanno relazioni diplomatiche, ma i servizi di intelligence sono in contatto. Anche perché lunedì si è sfiorato lo scontro armato. I jet di Assad, con il consenso russo, hanno bombardato un convoglio turco carico di rifornimenti e rinforzi per i ribelli. Un raid di avvertimento che ha bloccato la colonna poco prima che arrivasse a Khan Sheikhoun. Secondo fonti siriane a un certo punto si sono levati in volo gli F-16 turchi, ma sono stati intercettati e costretti a virare dai Su-35 russi. Ieri un comandante delle forze speciali Nimr, «Tigri», ha avuto toni più concilianti: «Se i soldati turchi al posto di osservazione di Morek vogliono restare, che restino. Se vogliono andar via assicureremo un corridoio sicuro».
Il tempo stringe e il rischio di incidenti è alto. A Khan Sheikhoun restano cellule di ribelli jihadisti in un dedalo di tunnel e fortificazioni. Mentre il gruppo moderato Jaish al-Izza, ha ritirato tutti i suoi uomini, gli eredi dell’Al-Qaeda siriana hanno deciso di resistere a oltranza, per rallentare l’avanzata verso Idlib. La campagna è cominciata il 30 aprile e a frenare le forze del raiss finora è stato il terreno difficile e la determinazione degli islamisti che considerano Idlib incedibile, anche perché non hanno altri posti in Siria dove ritirarsi.
La Turchia ha lasciato passare armi e rinforzi per impantanare i siriani, ma nelle ultime settimane i governativi hanno cambiato tattica. Sono stati dotati dalla Russia di visori a raggi infrarossi in abbondanza e attaccano di notte, con l’aiuto degli Spetsnaz. I guerriglieri anti-Assad non possono più usare i missili anti-tank, mentre jet ed elicotteri russi li colpiscono 24 ore su 24. Di qui la caduta di Khan Sheikhoun, già colpita da un controverso attacco chimico nell’aprile del 2017 che comportò la prima rappresaglia di Donald Trump contro Damasco. Ora la strada per Idlib è quasi sgombra. A meno che anche i turchi non decidano di entrare in prima persona nella battaglia.