Corriere della Sera, 21 agosto 2019
Morgan Freeman alla Casa Bianca (per una fiction)
«Sono stato Nelson Mandela, un ex boxeur, un senatore, un malato terminale, un comprimario di Batman e sono stato persino Dio per ben due volte. Mai, però, mi avevano offerto di diventare il presidente degli Stati Uniti d’America».
Così, a 82 anni, Morgan Freeman racconta di aver colto al volo l’occasione di diventare Allan Trumbull, l’afroamericano che è alla guida della Casa Bianca nel film Attacco al potere 3 diretto da Ric Roman Waugh. «Mi batto contro ogni emarginazione e tanti mi vogliono morto!», anticipa deciso l’attore protagonista di tanti film di successo ad Hollywood. Nel terzo round della serie, intitolato in Usa Angel has fallen e in uscita in contemporanea mondiale il 28 agosto, Freeman è attorniato da un cast di diverse generazioni. A cominciare da Gerard Butler che veste i panni del direttore dei servizi segreti e viene accusato di aver attentato alla vita del presidente e farà di tutto per smascherare i veri responsabili.
Vedendo per la prima volta il film cosa ha pensato?
«Ho applaudito Jada Pinkett Smith, che interpreta un’agente dell’Fbi, Helen Thompson, e spara meglio dei colleghi maschi».
Lei è stato accusato da varie donne di comportamento non corretto. Come si è difeso?
«Dicendo, ed è verissimo, “Sostengo il #MeToo”. Ha cambiato i rapporti anche solo galanti e troppo confidenziali di tanti maschi nei confronti delle donne, è stata una lezione che non sarà mai dimenticata: ha messo in riga il gioco della seduzione non appropriata».
Che cosa l’ha sorpresa nella nuova puntata del thriller d’azione?
«Nick Nolte, barba bianca, nuovo ingresso nella serie. È bravissimo nella parte del padre di Butler, vive in un cottage nei boschi, intorno al quale ha disseminato esplosivi di ogni tipo. È bello che i giovani registi si ricordino di attori che non possono più essere amatori glamour e ci facciano lavorare».
Ritiene che alcuni spettatori la identificheranno con Barack Obama vedendo il suo presidente?
«Il nostro è solo un film d’azione. Essere presidente è la posizione più ardua del mondo e Trumbull è onesto e coraggioso, un sano uomo politico: abbiamo bisogno di un presidente come lui alla guida del nostro Paese».
Il #metoo ha cambiato i rapporti anche solo galanti e troppo confidenziali di tanti maschi nei confronti delle donne: una lezione che non sarà mai dimenticata
Ha altri tre film in uscita. Non ha intenzione di andare in pensione?
«Fatico a lasciare la mia casa nel Mississippi, i miei libri, le mie playlist musicali e gli amici per andare a recitare vite che non sono la mia, ma amo ancora troppo il mestiere per mettere la parola fine a una carriera iniziata quando avevo 8 anni. E poi il cinema offre ruoli sempre più stimolanti anche a noi veterani».
Cosa le dà ancora questo mestiere?
«Fantasia, energia e denaro. Mio padre era un barbiere, mia madre faceva le pulizie, eravamo poveri. Recitai con passione da ragazzo, poi decisi di diventare meccanico nell’aeronautica militare. La mia è una vita con tante svolte e sono stato anche ballerino, uomo di teatro a Broadway, musicista innamorato del sound del Sud».
Cosa la inorgoglisce della sua carriera?
«L’essere stato nominato ai Tony, agli Oscar numerose volte e averne vinto uno per Million Dollar Baby come non protagonista. Ho messo in una bacheca i riconoscimenti e a volte li guardo. Nella vita di un attore i ruoli si sovrappongono alla sua realtà quotidiana: è un errore, che mette in crisi il privato, ma è anche una carriera che può dare molto».
C’è un film che predilige tra i suoi tanti?
«Sicuramente A spasso con Daisy con Jessica Tandy. Mi è rimasto nel cuore il mio autista analfabeta, che per vivere consegnava il latte sino a quando l’anziana e distinta Miss Daisy lo accetta di malavoglia e poi gli insegna anche a leggere e scrivere».